"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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venerdì 23 novembre 2012

La violenza è legittima contro chi è violento

La violenza. L'eterna questione della violenza. La violenza è sempre illegittima? Evidentemente no. E' lecita quella che si oppone ad un altra violenza. Nel diritto penale di uno Stato si chiama 'legittima difesa'. Nel mondo politico si considera legittima la violenza popolare quando si esercita contro un regime repressivo, dispotico, dittatoriale. Nessuno dubita che la violenza delle 'primavere arabe' contro la cricca di Ben Alì in Tunisia o di Mubarak in Egitto sia stata legittima.
Il primo a porsi la domanda è stato Seneca: è lecito uccidere il tiranno? (il filosofo pensava a Nerone, anche se sbagliava bersaglio perché Nerone è stato il più tollerante degli imperatori romani). Comunque la risposta che si diede Seneca e, dopo di lui, si è incaricata di dare la Storia è: sì, è lecito uccidere il tiuranno. E' legittima, anzi necessaria, la violenza in guerra dove vale ciò che è vietatissimo in tempo di pace: uccidere. Anche se col processo di Norimberga si è affermato un principio assai ambiguo: legittima è la violenza dei vincitori, non quella dei vinti per la quale è stato creato un reato di nuovo conio: 'il crimine di guerra'. Il generale Kesselring si prese dieci anni di reclusione perché a Cassino aveva osato resistere, per otto mesi, agli Alleati e uno dei crimini addebitati al generale serbo-bosniaco Mladic è di aver assediato Sarajevo (Ma da quando in qua, in guerra, non è lecito assediare una città nemica? Annibale assediò Sagunto per otto mesi e quando, dopo 17 anni di epiche battaglie, i Romani lo andarono a prendere nella villa dove si era rifugiato, in Bitinia, non intendevano processarlo per 'crimini di guerra' ma semplicemente eliminare un nemico che, nonostante i suoi 67 anni, ritenevano ancora pericoloso. Comunque il grande generale li anticipò bevendo il veleno che teneva da sempre racchiuso nel suo anello).
Tutte le principale rivoluzioni democratiche sono nate su bagni di sangue. Borghesi contro nobili e contadini alleati, con una certa ragione da parte di questi ultimi perché la micragnosità economica dei nuovi proprietari borghesi si rivelerà molto più pesante della svagata e arruffona amministrazione nobiliare. Durante la Rivoluzione francese furono compiute atrocità spaventose ( altro che gli 'stupri etnici', si stupravano anche le morte come l'infelice marchesa di Lamballe secondo il racconto di Restif de la Bretonne). Ma nessuno dubita che quelle violenze furono legittime.
Il problema della violenza si pone oggi per le democrazie che, come ogni Stato moderno, della violenza hanno il monopolio. E' lecita una violenza popolare contro un regime democratico? In linea teorica no. In democrazia, ogni cinque anni, tu vai a votare chi pensi rappresenti meglio le tue idee e i tuoi interessi. Se non ti soddisfa, alla successiva tornata voterai qualcun altro. Che bisogno c'è della violenza? Il fatto è che quasi tutte le democrazie rappresentative non sono democrazie, ma sistemi di minoranze organizzate, di oligarchie, di caste, politiche ed economiche strettamente intrecciate fra di loro, che, nella più piena legalità formale, possono sottoporre ad ogni abuso, sopruso, violenza il cittadino che ad esse non si è infeudato. Non sono democrazie ma la loro, non innocente, parodia. Se, come ha auspicato Grillo, i giovani poliziotti si unissero ai loro coetanei in maglietta, contro “i responsabili che stanno a guardare sorseggiando il té” sarebbe rivoluzione. Legittima se vittoriosa, criminale se perdente. Questo è ciò che ci insegna la Storia.



venerdì 16 novembre 2012

Ecco anche il perché, in Italia nessuno parla più della Francia: Bufala che circola sul web!

Da molti Internet è vista con diffidenza per la facilità di circolazione di notizie false, ma è anche vero che la stessa rete permette di verificare come stanno realmente le cose e nel caso di false notizie ci sarà sempre qualcuno a segnalare la bufala!

E-mail che avevo ricevuto e pubblicato con piacere e che poi si è sostanzialmente rivelata non vera:

Testo della e-mail ricevuta:

"Ecco anche il perché, in Italia nessuno parla più della Francia.

"Ecco cosa ha fatto Hollande (non parole, fatti) in 56 giorni di governo”: ha abolito il 100% delle auto blu e le ha messe all’asta; il ricavato va al fondo welfare da distribuire alle regioni con il più alto numero di centri urbani con periferie dissestate. Ha fatto inviare un documento (dodici righe) a tutti gli enti statali dipendenti dall’amministrazione centrale in cui comunicava l’abolizione delle “vetture aziendali” sfidando e insultando provocatoriamente gli alti funzionari, con frasi del tipo “un dirigente che guadagna 650.000 euro all’anno, se non può permettersi il lusso di acquistare una bella vettura con il proprio guadagno meritato, vuol dire che è troppo avaro, o è stupido, o è disonesto. La nazione non ha bisogno di nessuna di queste tre figure”.

Via con le Peugeot e le Citroen. 345 milioni di euro risparmiati subito, spostati per creare (apertura il 15 agosto 2012) 175 istituti di ricerca scientifica avanzata ad alta tecnologia assumendo 2.560 giovani scienziati disoccupati “per aumentare la competitività e la produttività della nazione”.

Ha abolito il concetto di scudo fiscale (definito “socialmente immorale”) e ha emanato un urgente decreto presidenziale stabilendo un’aliquota del 75% di aumento nella tassazione per tutte le famiglie che, al netto, guadagnano più di 5 milioni di euro all’anno. Con quei soldi (rispettando quindi il fiscal compact) senza intaccare il bilancio di un euro ha assunto 59.870 laureati disoccupati, di cui 6.900 dal 1 luglio del 2012, e poi altri 12.500 dal 1 settembre come insegnanti nella pubblica istruzione.

Ha sottratto alla Chiesa sovvenzioni statali per il valore di 2,3 miliardi di euro che finanziavano licei privati esclusivi, e ha varato (con quei soldi) un piano per la costruzione di 4.500 asili nido e 3.700 scuole elementari avviando un piano di rilancio degli investimenti nelle infrastrutture nazionali.

Ha istituito il “bonus cultura” presidenziale, un dispositivo che consente di pagare tasse zero a chiunque si costituisca come cooperativa e apra una libreria indipendente assumendo almeno due laureati disoccupati iscritti alla lista dei disoccupati oppure cassintegrati, in modo tale da far risparmiare soldi della spesa pubblica, dare un minimo contributo all’occupazione e rilanciare dei nuovi status sociale.

Ha abolito tutti i sussidi governativi a riviste, rivistucole, fondazioni, e case editrici, sostituite da comitati di “imprenditori statali” che finanziano aziende culturali sulla base di presentazione di piani business legati a strategie di mercato avanzate.

Ha varato un provvedimento molto complesso nel quale si offre alle banche una scelta (non imposizione): chi offre crediti agevolati ad aziende che producono merci francesi riceve agevolazioni fiscali, chi offre strumenti finanziari paga una tassa supplementare: prendere o lasciare.

Ha decurtato del 25% lo stipendio di tutti i funzionari governativi, del 32% di tutti i parlamentari, e del 40% di tutti gli alti dirigenti statali che guadagnano più di 800 mila euro all’anno. Con quella cifra (circa 4 miliardi di euro) ha istituito un fondo garanzia welfare che attribuisce a “donne mamme singole” in condizioni finanziarie disagiate uno stipendio garantito mensile per la durata di cinque anni, finché il bambino non va alle scuole elementari, e per tre anni se il bambino è più grande. Il tutto senza toccare il pareggio di bilancio.

Risultato: ma guarda un po’…….. SURPRISE!!

Lo spread con i bund tedeschi è sceso, per magia. E’ arrivato a 101 (da noi viaggia intorno a 470). L’inflazione non è salita. La competitività e la produttività nazionale è aumentata nel mese di giugno per la prima volta da tre anni a questa parte."


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Notizia della bufala riportata sul web:

"Hollande abolisce le auto blu? Una bufala

Gira in Rete un testo con tutte le misure prese dal presidente francese François Hollande per eliminare i privilegi di ricchi e potenti. Ma nel migliore dei casi sono solo buone intenzioni


di Beatrice Mautino  Wired.it
 
 In queste ore gira su Facebook un testo che elenca tutti i provvedimenti presi dal Presidente francese François Hollande nei suoi primi neanche sessanta giorni di Governo. Leggiamo che Hollande avrebbe " abolito il concetto di scudo fiscale [definito “ socialmente immorale”, nda]", avrebbe " emanato un urgente decreto presidenziale stabilendo un’aliquota del 75% di aumento nella tassazione per tutte le famiglie che, al netto, guadagnano più di 5 milioni di euro all’anno", avrebbe " decurtato del 25% lo stipendio di tutti i funzionari governativi, del 32% di tutti i parlamentari, e del 40% di tutti gli alti dirigenti statali che guadagnano più di 800 mila euro all’anno" e con i soldi risparmiati avrebbe " assunto 59.870 laureati disoccupati", "varato [con quei soldi, nda]  un piano per la costruzione di 4.500 asili nido e 3.700 scuole elementari", " istituito un fondo garanzia welfare che attribuisce a donne mamme single in condizioni finanziarie disagiate uno stipendio garantito mensile per la durata di cinque anni" e molto altro (in calce il testo completo).

La notizia che ha creato più scalpore è senz'altro l'abolizione del " 100% delle auto blu spedendo un documento (di dodici righe, nda) a tutti gli enti statali dipendenti dall’amministrazione centrale in cui comunicava l’abolizione delle vetture aziendali". I 345 milioni di euro risparmiati subito, spostati per creare (apertura il 15 agosto 2012) 175 istituti di ricerca scientifica avanzata ad alta tecnologia assumendo 2.560 giovani scienziati disoccupati per aumentare la competitività e la produttività della nazione.

Il testo è stato immediatamente diffuso e condiviso da migliaia di utenti e parallelamente alcuni hanno iniziato a insospettirsi: quali sono le fonti? Da dove arriva la notizia? Abbiamo fatto una breve indagine: in fondo, un provvedimento come l'abolizione del 100% delle auto blu dovrebbe essere ben pubblicizzato, soprattutto se accompagnato dalla creazione di centri di ricerca in tempi record e dell'assunzione di migliaia di ricercatori. Nulla.

I siti dei principali quotidiani francesi non ne parlano, così come non c'è nulla sui portali ufficiali o tra i comunicati stampa dell'Eliseo o di François Hollande. Se usando come chiavi di ricerca " Hollande" e " auto blu" in italiano si ottengono migliaia di pagine che rimandano al testo che circola in Rete, le stesse chiavi di ricerca in francese portano ai molti articoli sulla scelta dell'auto presidenziale (una Citroen DS5 ibrida) o sui pesanti licenziamenti in corso nelle ditte automobilistiche francesi. Idem per la ricerca in inglese. Apparentemente gli italiani sono gli unici a discutere di questo provvedimento. 

E quindi, che cosa c'è di vero in quel documento? Un utile strumento per cercare di seguire i lavori della presidenza francese è l' osservatorio online aperto da Le Monde. Lo trovate anche su Facebook come Le suivi des promesses de François Hollande (" Il monitoraggio delle promesse di François Hollande"). Il quotidiano francese segue passo passo le mosse del Presidente francese e, programma elettorale alla mano, verifica lo stato dei lavori con tanto di barra di avanzamento.

Dall'elenco scopriamo che lo stipendio dei Ministri e del Capo dello Stato è stato ridotto del 30% o che è stato effettivamente programmato il ritiro delle truppe dall'Afghanistan entro il 2012, mentre l'annunciato blocco dei prezzi della benzina per tre mesi è stato rimandato così come è ancora in sospeso il provvedimento che prevede un aliquota fiscale del 75% per i redditi superiori al milione di euro. Delle auto blu nemmeno l'ombra. 

Abbiamo cercato di risalire alla fonte del testo e, al momento, il nostro paziente zero sembrerebbe essere questo post, pubblicato l'11 luglio scorso da Sergio Di Cori Modigliani. Ma ecco il testo completo che gira su Facebook:

"Ecco cosa ha fatto Hollande (non parole, fatti) in 56 giorni di governo: ha abolito il 100% delle auto blu e le ha messe all'asta; il ricavato va al fondo welfare da distribuire alle regioni con il più alto numero di centri urbani con periferie dissestate. Ha fatto inviare un documento (dodici righe) a tutti gli enti statali dipendenti dall'amministrazione centrale in cui comunicava l'abolizione delle vetture aziendali sfidando e insultando provocatoriamente gli alti funzionari, con frasi del tipo ' un dirigente che guadagna 650.000 euro all'anno, se non può permettersi il lusso di acquistare una bella vettura con il proprio guadagno meritato, vuol dire che è troppo avaro, o è stupido, o è disonesto. La nazione non ha bisogno di nessuna di queste tre figure'. Touché. Via con le Peugeot e le Citroen. 345 milioni di euro risparmiati subito, spostati per creare (apertura il 15 agosto 2012) 175 istituti di ricerca scientifica avanzata ad alta tecnologia assumendo 2.560 giovani scienziati disoccupati "per aumentare la competitività e la produttività della nazione".

"Ha abolito il concetto di scudo fiscale (definito ' socialmente immorale') e ha emanato un urgente decreto presidenziale stabilendo un'aliquota del 75% di aumento nella tassazione per tutte le famiglie che, al netto, guadagnano più di 5 milioni di euro all'anno. Con quei soldi (rispettando quindi il fiscal compact) senza intaccare il bilancio di un euro ha assunto 59.870 laureati disoccupati, di cui 6.900 dal 1 luglio del 2012, e poi altri 12.500 dal 1 settembre come insegnanti nella pubblica istruzione.

"Ha sottratto alla Chiesa sovvenzioni statali per il valore di 2,3 miliardi di euro che finanziavano licei privati esclusivi, e ha varato (con quei soldi) un piano per la costruzione di 4.500 asili nido e 3.700 scuole elementari avviando un piano di rilancio degli investimenti nelle infrastrutture nazionali.

"Ha istituito il ' bonus cultura' presidenziale, un dispositivo che consente di pagare tasse zero a chiunque si costituisca come cooperativa e apra una libreria indipendente assumendo almeno due laureati disoccupati iscritti alla lista dei disoccupati oppure cassintegrati, in modo tale da far risparmiare soldi della spesa pubblica, dare un minimo contributo all'occupazione e rilanciare dei nuovi status sociale.

"Ha abolito tutti i sussidi governativi a riviste, rivistucole, fondazioni, e case editrici, sostituite da comitati di ' imprenditori statali' che finanziano aziende culturali sulla base di presentazione di piani business legati a strategie di mercato avanzate.

"Ha varato un provvedimento molto complesso nel quale si offre alle banche una scelta (non imposizione): chi offre crediti agevolati ad aziende che producono merci francesi riceve agevolazioni fiscali, chi offre strumenti finanziari paga una tassa supplementare: prendere o lasciare.

"Ha decurtato del 25% lo stipendio di tutti i funzionari governativi, del 32% di tutti i parlamentari, e del 40% di tutti gli alti dirigenti statali che guadagnano più di 800 mila euro all'anno. Con quella cifra (circa 4 miliardi di euro) ha istituito un fondo garanzia welfare che attribuisce a ' donne mamme singole' in condizioni finanziarie disagiate uno stipendio garantito mensile per la durata di cinque anni, finchè il bambino non va alle scuole elementari, e per tre anni se il bambino è più grande.

"Il tutto senza toccare il pareggio di bilancio. Risultato: ma guarda un po' SURPRISE!! Lo spread con i bund tedeschi è sceso, per magia. E' arrivato a 101 (da noi viaggia intorno a 470). L'inflazione non è salita. La competitività e la produttività nazionale è aumentata nel mese di giugno per la prima volta da tre anni a questa parte. Hollande è un genio dell'economia?".
 
 

Italia terra di diseguaglianza: “Un Paese ricco abitato da poveri”

Nunzia Penelope torna in libreria con “Ricchi e poveri” (Ponte alle Grazie): la prima inchiesta sulla diseguaglianza in Italia. Come vive chi può spendere 10mila euro al giorno? E come sopravvive chi ne guadagna 1.000 al mese? Ne esce un Paese in cui convivono chi colleziona case e chi vive in camper, chi fa shopping col jet privato e chi non riesce a fare la spesa.

Se la ricchezza italiana fosse una montagna, sarebbe alta quanto il K2, mentre il debito pubblico, al confronto, risulterebbe come il monte Pisanino nelle Alpi Apuane: 8611 metri contro poco meno di 2000. La ricchezza di cui stiamo parlando costituisce il tesoro privato degli italiani, tra denaro contante, case, azioni e titoli, per un totale di 8.640 miliardi di euro netti, cioè oltre quattro volte il debito, con i suoi 1972 miliardi registrati ad agosto 2012.
SE L’ITALIA FOSSE UN’AZIENDA. Un’azienda con rapporti analoghi tra passivo e patrimonio non rischierebbe il fallimento, anzi, avrebbe risorse sufficienti anche per investire, crescere, arricchirsi ulteriormente. L’Italia, invece, è costantemente sull’orlo del default, costretta a tirare la cinghia, a tagliare la spesa, a non avere mai un soldo. I molti e diversi motivi di questa situazione, spiegati diffusamente da economisti di ogni orientamento, ce n’è però anche uno molto semplice: il debito è di tutti, al contrario della ricchezza, che è di pochi.
Il debito pubblico è spalmato su 60 milioni di cittadini, per una quota di circa 32 mila euro ciascuno: inizia al momento della nascita e finisce solo con la morte. Per una famiglia di tre persone equivale a un fardello da quasi 100mila euro, che si trascinerà a vita perché impossibile da estinguere. Non funziona nello stesso modo per la ricchezza nazionale. La metà, e cioè oltre 4 mila miliardi di euro, appartiene a una piccola minoranza pari al 10 per cento della popolazione: sei milioni di persone che vivono nell’assoluto benessere. Al 90 per cento dei cittadini, 54 milioni di persone, resta da dividersi l’altra metà.
Sembra quasi un gioco di parole, ma spiega la ragione fondamentale per cui l’Italia è quel paradosso che è: un paese ricco, abitato da poveri. Teoricamente, infatti, siamo molto più ricchi di quanto non fossimo negli anni del boom economico; nel 1965 la ricchezza complessiva era pari all’equivalente di un miliardo e 137 milioni di euro, contro gli oltre 8mila miliardi del 2011; quella pro capite pari superava di poco i 21mila euro, contro i 142 mila dei nostri giorni. E siamo ricchi anche nel confronto internazionale: la ricchezza delle famiglie italiane nel 2010 era pari a 8,3 volte il reddito disponibile, contro il 7,5 della Francia, il 7,8 della Germania, il 7 del Giappone, il 5,5 del Canada e il 4,9 degli Usa.
DOVE SONO I SOLDI? Da una parte ci sono gli 8600 miliardi dei patrimoni privati conteggiati dalla Banca d’Italia, dall’altra i patrimoni, ancor più privati, dell’economia illegale. I grandi evasori portano i soldi altrove. Nelle banche e nei caveau della sola Svizzera ci sono tra i 150 e i 200 miliardi di euro che battono bandiera tricolore. Ma ancora non si è trovato un modo di riportarli a casa: le lunghe discussioni sulla possibilità di accordi tra il governo italiano e quello svizzero, finalizzate a tassare quei capitali, si sono arenate di fronte alla considerazione che un accordo del genere rappresenterebbe l’ennesimo condono. L’esodo di capitali oltre confine si è intensificato, spinto soprattutto dalla possibilità, pur remotissima, che prima o poi i conti pubblici richiedano la cura urto della patrimoniale. Non si tratta dei capitali di mafia e camorra, o almeno non solo: al riciclaggio ricorrono in massa anche imprese e professionisti, e il vero sport nazionale, ormai, non è ripulire i soldi sporchi, ma nascondere quelli puliti per non pagarci le tasse.
DALLA ROULOTTE… Nell’ultimo censimento dell’Istat risulta che sono oltre 71mila gli italiani che vivono in baracche, tende, roulotte. Nel 2001 erano appena 23 mila, sono più che triplicati in un decennio. Un aumento che lo stesso Istat ha definito “vertiginoso”, ma la notizia non ha avuto dai media il rilievo che sarebbe stato necessario; eppure, settantamila persone equivalgono alla popolazione di una città nemmeno tanto piccola, come Trapani, Pavia, Cosenza.
 …AL JET PRIVATO. Con 60 mila euro si può fare il giro del mondo in jet privato. Partenza da Londra e poi a zonzo: dal Mali allo Zambia, dalle Maldive alla Cambogia, dall’India a Lisbona. Il viaggio si chiama “Impero ed esploratori”. Ma queste sono stravaganze da nuovi ricchi. Quelli veri, consolidati, viaggiano discreti e sotto traccia con i loro jet personali, che ormai in tutto il mondo sono una flotta forse perfino più numerosa di quella in dotazione alle compagnie aeree commerciali. Gioiellini volanti, di cui il più bello, dicono gli esperti, è quello che Diego Della Valle si è regalato nel 2011: un Gulfstream 55 bireattore, 13 mila chilometri di autonomia senza scalo. Gli interni sono all’altezza della reputazione: salottino privato, due divanetti con schermi tv da 24 pollici e sei posti singoli. Il tutto per poco più di 50 milioni di dollari. Quelli che non possono spendere nemmeno la benzina per la macchina, invece, restano a casa. Ed è ormai questa, da qualche tempo, la scelta obbligata per metà della popolazione italiana.



Tra Obama e Romney preferivo Sandy

Non riesco a capire come si possa prendere sul serio quel grande Barnum che sono le elezioni presidenziali americane, cui in Italia per giorni e giorni sono state dedicate dozzine di pagine, talk show e notturne ed estenuanti dirette. Sono una sorta di SuperBowl politico, altrettanto kitsch. Mancavano solo le puttanone scosciate a cavalcioni degli elefant e sarebbe stato perfetto. “Michelle, non ti ho mai amato tanto in vita mia come in questo momento” è una frase che, pronunciata nel più importante discorso alla Nazione, nemmeno Silvio Berlusconi avrebbe osato permettersi.
A me di queste elezioni, nonostante la grancassa, non importava nulla. E non credo di essere il solo. Fra i due candidati tifavo per l'uragano Sandy. Solo un sismografo sensibilissimo può avvertire le differenze fra repubblicani e democratici...In questa tornata poi, per conquistare il famoso cento per cento i programmi dei due schieramenti si sono …..i colori: azzurri gli uni, rossi gli altri. Chiunque avesse vinto nulla sarebbe cambiato in politica interna e in quella estera. Negli Stati Uniti, il Paese più potente, più forte, più ricco del mondo, che può sfruttare ancora la rendita di posizione per la vittoria militare di tre quarti di secolo fa, rimarranno comunque 40 milioni di poveri, un sesto circa della popolazione, che non hanno rappresentanza politica. Alla faccia della 'grande democrazia'. Solo in Italia si può credere che Obama sia un uomo di sinistra. Così come solo in Europa si può credere che i democratici siano meno guarrafondai dei repubblicani. Fu il democraticissimo Kennedy a iniziare la guerra del Vietnam e il repubblicano Nixon (il miglior presidente che gli Usa abbiano avuto nel dopoguerra) a chiuderla. Fu sempre Kennedy a combinare il pasticcio della Baia dei porci e il democratico Carter quello del blitz in Iran. E' stato il democratico Clinton a scatenare la più assurda delle guerre occidentali, quella contro la Serbia, eiropea e cristiana.In quanto al Nobel per la pace Barak Obama ha mandato altri 30 mila soldati in Afghanistan e, rispetto a Bush, ha aumentato del 13% le spese militari.
Ma il problema non sono gli americani e chi li comanda. Siamo noi europei. E' da quel dì, dal crollo dell'Unione Sovietica, che avremmo dovuto capire che gli Stati Uniti erano diventati, da alleati obbligati, degli avversari se non proprio dei nemici. Noi europei non abbiamo alcun interesse a seguire gli Stati Uniti nella loro politica soppressiva nei confronti del mondo arabo-musulmano, se non altro perché lo abbiamo sull'uscio di casa e non a diecimila chilometri di distanza. E in economia sono stati gli americani, inseguendo il demenziale sogno di ipotecare il futuro fino ad epoche siderali, a provocare una crisi devastante che hanno poi scaricato sull'Europa permettendosi anche di colpevolizzarla per una crisi che da loro è partita e di affossarla ulteriormente a colpi di previsioni negative delle loro agenzie di rating. Per gli americani noi siamo stati sempre degli 'utili idioti' da usare a loro piacimento. Avremmo dovuto già capirlo da tempo. E invece siamo ancora lì ad agitar bandierine, azzurre o rosse, per festeggiare il nostro servaggio.


sabato 10 novembre 2012

“Io voglio restare”, nasce il movimento dei giovani che resistono all’emigrazione

Nell’Europa delle frontiere aperte e dei voli low cost, per molti giovani italiani andare a lavorare all’estero non è più un’opportunità, ma una strada obbligata. Se fino a qualche anno fa la fuga oltreconfine era una scelta, un’esperienza di vita che poteva durare pochi mesi o decine di anni, adesso una società vecchia, dagli ingranaggi arrugginiti, infestata dal malcostume e incapace di crescere offre poche alternative alla generazione più giovane: rimanere è un rischio che molti non si sentono di correre.
Alcuni invece hanno deciso di scommettere proprio sull’Italia: sono i ragazzi, in gran parte provenienti dai collettivi universitari, che si sono raccolti intorno al movimento Io voglio restare – Le risposte di una generazione che non si arrende. Non sono bamboccioni né choosy, bensì membri a vario titolo di quella che è stata efficacemente definita ‘la generazione perduta’, ma che rifiutano una sconfitta che sembra già scritta.
E dopo una sintetica, ma esauriente descrizione delle ‘macerie’ da cui “in tanti hanno deciso di scappare” – condita dalle cifre preoccupanti sulla disoccupazione giovanile – i ragazzi si chiedono: “Perché mai dovremmo restare in Italia, se qui non è possibile vivere con dignità, dare corpo alle nostre aspirazioni, mettere in gioco le nostre competenze? Eppure noi crediamo di essere una risorsa. Se questo Paese va ricostruito, noi sappiamo di poterlo e doverlo fare. Per riuscirci però abbiamo bisogno di un cambiamento qui e ora, che ci permetta di restare: non vogliamo il posto di qualcun altro, vogliamo costruire il nostro”. Perché anche scegliere di restare deve essere un diritto.
L’appello, in poche settimane, ha raccolto circa milletrecento adesioni: lo hanno sottoscritto studenti universitari, dottorandi e ricercatori, ma anche giornalisti precari e praticanti avvocati, operai e attivisti. Un universo variegato, un “gruppo abbastanza rappresentativo delle condizioni sociali attuali, che vuole proporre alternative all’obbligo di emigrare: un tema che non ci sembra abbia cittadinanza nel dibattito politico”, spiega a ilfattoquotidiano.it Lorenzo Zamponi, uno degli organizzatori.
La campagna verte intorno a quattro temi principali: conoscenza e saperi, welfare e reddito, lavoro e precarietà, innovazione e nuova occupazione. Il primo incontro ‘fisico’ dei sottoscrittori è in programma sabato 10 novembre alla Fortezza da Basso di Firenze, nell’ambito del forum internazionale Firenze 10+10, che si svolge a 10 anni dal Social Forum Europeo. “Nell’assemblea discuteremo di alcuni degli spunti che abbiamo lanciato in questi giorni a proposito della questione sociale – racconta Zamponi – Rivendichiamo misure per sopperire alla mancanza di lavoro e di risorse da destinare al sapere; un welfare adeguato alle esigenze del mercato del lavoro temporaneo; provvedimenti per il reddito minimo garantito. Se riuscissimo a ottenere queste condizioni minime di dignità, andare all’estero diventerebbe un’opportunità e non un obbligo”.
Il cambiamento che chiedono i ragazzi di Io voglio restare passa anche dal loro impegno concreto. “Vogliamo proseguire nella campagna di sensibilizzazione, avanzare le nostre proposte alla politica, a tutti i livelli, e sostenere attivamente le campagne, come quella sul reddito minimo, che non sono partite da noi ma che rispondono alle nostre richieste”. Il movimento non vuole riconoscersi in una forza politica specifica: “Tra noi ci sono persone con opinioni e sensibilità diverse, ma nessuno con incarichi rilevanti di partito – spiega Zamponi – Non vogliamo farci strumentalizzare in tempi di campagna elettorale, ma se qualche esponente politico vorrà farsi carico dei nostri temi, per noi va bene”.
Una fuga di cervelli al contrario, che segue lo slogan “Cambiare il paese per non cambiare paese”: agire in prima persona per uscire dal pantano: “Nel momento difficile che sta attraversando l’Italia, ci sono energie e potenzialità che non si possono sfruttare se non ci sono le condizioni per farlo”, commenta Zamponi. E l’appello online si chiude con queste parole: “Sappiamo che fuggire può essere la strada più semplice, sappiamo che spesso è necessario ed inevitabile, ma noi vogliamo restare qui e sappiamo che l’alternativa alla fuga dipende da noi”.


 

mercoledì 7 novembre 2012

Terremoto dell'Aquila ecco perché è ineccepibile la sentenza del Tribunale

Se gli aruspici romani, dopo aver esaminato le interiora di un qualche animale, davano un responso che, a conti fatti, si sarebbe rivelato sbagliato, venivano immolati e squartati come gli animali da cui avevano preteso di trarre le loro divinazioni. Una giusta punizione per la loro presunzione. La sentenza con cui il Tribunale dell’Aquila ha condannato a sei anni di reclusione i sette esperti della Commissione Grandi Rischi è ineccepibile. I sette non sono stati condannati per aver sbagliato le previsioni, ma per averle fatte. Se, come afferma il sismologo Enzo Boschi (fra i condannati) "un terremoto non si può prevedere ma nemmeno escludere", allora non si fa previsione alcuna. Invece gli "esperti" l’hanno azzardata rassicurando la popolazione sperando nella loro buona stella. Una tremenda lezione per la presunzione degli scienziati, ma ancor più tremenda, perché pagata con 309 morti, per gli aquilani che han dato loro retta invece di seguire l’istinto che diceva di lasciare la città in tempo (pochissimi lo hanno fatto). La tragedia dell’Aquila si inserisce nel quadro più generale del rapporto moderno fra Scienza, Tecnologia e uomo. Ci siamo troppo abituati, in tutti i campi e non solo in quello delle emergenze naturali (si pensi solo alla medicina) ad affidarci alla Scienza e alla Tecnologia e troppo poco ai nostri istinti. Tanto che questa abitudine ha finito per ottunderli.
Invece l’istinto è la prima difesa naturale dell’uomo. Chiunque abbia avuto un grave incidente di macchina da cui sia uscito illeso sa che si è salvato non grazie a una manovra alla Alonso, di cui non sarebbe capace, ma perché l’adrenalina, annullando l’intelletto razionale a favore dell’istinto, gli ha dettato ciò che era meglio fare. L’11 settembre nelle Twin Towers si salvò un cieco. Per quelli che stavano nei piani sopra l’impatto degli aerei non c’era nulla da fare, salvo quell’atroce sventolare di fazzoletti bianchi. A quelli che stavano sotto, gli altoparlanti ripetevano ossessivamente: "State calmi, state fermi, non muovetevi dai vostri posti adesso arrivano i pompieri a salvarvi". Il cieco aveva un cane che, non sapendo nè leggere nè scrivere, nè avendo orecchi per ascoltare simili sciocchezze, fece la cosa più naturale e istintiva: si precipitò giù dalle scale, salvando se stesso e il padrone. Tutti gli altri furono seppelliti dal crollo. Tsunami 2004. Le isole Andamane erano, dopo Sumatra, le terre più vicine all’epicentro del maremoto. Le Andamane sono divise in due parti, la maggioranza è "civilizzata", turistica, ma ci sono alcune isole dove gli indigeni non hanno mai voluto saperne della civiltà. Nelle prime i morti furono migliaia, nelle seconde non ci fu nè un morto nè un ferito. Gli indigeni avevano "sentito" che c’era qualcosa di strano molte ore prima che il mare si ritirasse e si erano messi al sicuro. Del resto sarebbe bastato osservare il comportamento degli animali. Ha raccontato il guardiano di un faro in Sri Lanka: "Di colpo si fece un improvviso, impressionante silenzio. Gli uccelli smisero di cinguettare, le antilopi rizzarono le orecchie e dopo un attimo tutti gli animali correvano all’impazzata verso le colline. Guardavo il mare e non capivo: era tranquillissimo". Invece di usare gli animali per esperimenti più inutili di quelli degli aruspici, dovremmo osservarli meglio. Non perché siano "più buoni" di noi, come vuole la retorica animalista, ma perché hanno conservato quegli istinti che noi abbiamo perduto.


Il silenzio-assenso in materia edilizia favore agli speculatori

Non credevo ai miei occhi quando ho letto che nella legge di stabilità c’è una norma che in materia edilizia, sostituisce il silenzio-rifiuto col silenzio assenso. Di che si tratta? Secondo la normativa vigente se un imprenditore vuole costruire in deroga a "vincoli ambientali, paesaggistici o culturali" deve ovviamente chiederne l’autorizzazione alla Pubblica Amministrazione. Se questa non risponde equivale a un rifiuto. Con la nuova normativa la non risposta entro 45 giorni è invece un "liberi tutti". Già la normativa vigente si prestava a ogni sorta di abusi e di corruttela. Un vincolo è vincolo e dovrebbe valere per tutti. Invece non valeva per alcuni, i soliti noti. È con le deroghe al Piano Regolatore che Ligresti, per fare un esempio noto, ha realizzato il sacco edilizio di Milano. In proposito ho un’esperienza personale. Nel 1989 fui chiamato a processo per diffamazione dall’avvocato amministrativista Cutrera (che con Ligresti e il costruttore Brenda formava la "banda di viale Helvetia" come veniva familiarmente chiamata) per aver descritto sull’Europeo i metodi usati dal "trio". C’era un terreno vincolato, su cui il proprietario non poteva far niente nonostante promettesse, in cambio dell’autorizzazione, di costruire, a spese sue, ogni genere di infrastrutture. Ligresti trafficava con gli Uffici tecnici del Comune, otteneva l’impegno allo svincolo dell’area, poi si presentava dal proprietario: "Quanto vale il tuo terreno? Uno, dato che non ci puoi far niente. Io te lo compro a tre. Il proprietario accettava, tutto contento, ma in quel momento il suo terreno, segretamente svincolato, non valeva tre ma dieci volte tanto. Fui assolto. Dirà il lettore. ma adesso, col sistema del silenzio-assenso, almeno questi truffoni non saranno più possibili. Al contrario: saranno facilitati. Basterà che l’imprenditore disonesto induca, con argomenti convincenti, i tecnici dell’Ufficio a essere neghittosi e, oplà, il gioco è fatto. E non ci sarà nemmeno una delibera del Comune che consenta di risalire al malaffare. Che colpa ne ha l’impiegato del Comune se, sommerso da migliaia di pratiche, se n’è dimenticata qualcuna?
Le nostre coste sono tutte una lunga striscia di cemento. E le città? Milano. Io abito in una brutta casa anni ’50 ma, per una serie di circostanze fortunate, avevo il privilegio di vedere l’arco delle Alpi. Un tempo c’era la stazione delle Varesine, poi è stata spostata un paio di chilometri più in là. Si è aperto uno spazio immenso. Per parecchi anni è stato occupato da un grande Luna Park, perlomeno, o ci si portavano i bambini. Poi il Luna Park, sconfitto, immagino, dalla playstation se né andato ed è nato un bosco, un vero bosco. Miracolo a Milano, un piccolo polmone verde quasi nel centro della città. Una mattina mi alzo: in una sola notte il bosco era stato raso al suolo. In poco più di un anno hanno innalzato lavorando giorno e notte, una serie di ecomostri che hanno distrutto la fisionomia del quartiere, ancora semipopolare, costringendo barini, macellai, formaggiai, drogherie e ogni sorta di negozietti a sloggiare per il rincaro degli affitti.
Capisco che la nuova legge ha lo scopo di incentivare l’imprenditoria edilizia per aiutare l’economia. Ma l’economia non è tutto per una comunità. Esiste anche la qualità della vita. Ma è proprio l’economia, anche quando va bene, anzi soprattutto quando va bene, ad averla distrutta.


lunedì 5 novembre 2012

Facce nuove e vecchie maschere

Bastano la giovinezza e le facce pulite dei giovani 'grillini' siciliani (un'antropologia che si riproporrà, e probabilmente con numeri ancor più consistenti, alle prossime elezioni politiche) per sperare in un futuro migliore? In linea di massima direi di no. Nei dintorni del Sessantotto, quando imperversava il più spudorato giovanilismo ( il modo migliore per inculare i giovani è farli sentire protagonisti, portarli in palmo di mano – allora, nella società che assaporava il benessere, c'era anche, e forse soprattutto, una ragione economica: i giovani erano diventati un settore di mercato appetibile) scrissi per Linus un articolo intitolato: 'Basta con i giovani' che concludeva così: “ la cosa migliore, modesta ma onesta, che possono fare i giovani è una sola: invecchiare”. E' vero che quelli del Sessantotto non fanno testo, erano giovani fuori ma già marci dentro. Erano figli della borghesia e della borghesia avevano preso tutti i notori vizi: il cinismo e l'opportunismo. Non volevano cambiare il mondo ma semplicemente sostituirsi ai loro padri nell'esercizio del potere, con metodi, se possibile, ancora più trucidi. Il viso di Paolo Mieli ( militante, insieme ad altri rampolli dell'alta borghesia e dell'aristocrazia romana, di PotOp, 'molotov e champagne') diceva, già allora, tutto: non voleva fare nessuna rivoluzione ma diventare, per vie scorciatoie, direttore del Corriere della Sera.
Avranno la stessa sorte i giovani 'grillini' una volta preso il potere o una sua fetta? E' probabile. Il Tempo, padrone assoluto delle nostre vite, ci logora, affievolisce i nostri entusiasmi, spegne le nostre speranze. Ci si adegua. In 'C'eravamo tanto amati', un bel film del 1974, con Gassman, Manfredi, la Sandrelli che, passati i tempi spavaldi della giovinezza si ritrovano nei loro quarant'anni, uno dei protagonisti dice, amaramente: “Volevamo cambiare il mondo, ma è il mondo che ha cambiato noi”. “Ci vuole del talento per invecchiare senza diventare adulti” canta Franco Battiato.
I giovani 'grillini' hanno però qualche vantaggio rispetto alle generazioni che li hanno preceduti. Per quanto possono invecchiare, incarognire e i loro volti deformarsi è difficile che finiscano per omologarsi totalmente ai mascheroni che sono in circolazione attualmente. Gasparri, Berlusconi, Cicchitto sono dei 'top ten' dell'orrore, fisico e morale, e pare impossibile scalzarli da questa speciale classifica. E poi i giovani 'grillini' hanno un guru, un capo, un padre-padrone ultrasessantenne, che li sorveglia, li tartassa, li bacchetta, li punisce, li espelle e che è uno dei pochissimi che “è invecchiato senza diventare adulto”.



domenica 4 novembre 2012

Se Monti dicesse: “Trovate quei soldi, cazzo”

Gentile professor Monti, penso che a questa lettera non risponderà mai o forse neppure la leggerà. Non certo per mancanza di garbo. Lei è persona assai cortese e da quando gli italiani la frequentano non le hanno mai sentito pronunciare una parola men che levigata, anzi vien da pensare che la sera, prima del sonno del giusto, lei rifaccia la piega a sostantivi e avverbi con il ferro da stiro e una spruzzatina di amido. Siete tutti forbiti e irreprensibili, voi tecnici di governo.
Sere fa la tv mostrava una giornalista di “Servizio Pubblico” nel vano inseguimento di un ministro, credo fosse Profumo, per chiedergli qualcosa a proposito dei sacrifici richiesti sempre agli stessi mentre in troppi se la spassano. Domande che forse Sua Eccellenza neppure poteva percepire, immerso come sembrava in una felice condizione spirituale, del resto consona al suo cognome. E quel sorriso stampato che portava in processione, con al seguito trafelate salmerie di segretari e addetti, era già una risposta: io sono io e voi non siete niente.
Ho preferito, presidente Monti, evitare la celebre espressione del marchese Onofrio del Grillo a lei certamente nota, per uniformarmi allo stile della casa, anche se, le confesso, mi sento ribollire il sangue come, credo, tanti miei concittadini. Infatti, se sopravvive, come dicono, una certa fiducia verso la sua persona (e a ciò concorre il ricordo ancora vivido del suo predecessore), la crescente iniquità delle misure adottate dal suo governo è ogni giorno di più intollerabile. C’è un limite tuttavia che non dovrebbe mai essere superato ed è il rispetto per la sofferenza degli altri, quando questa sofferenza è oltre ogni limite. Negare trecento milioni ai malati di Sla e alle loro infelici famiglie è un atto scellerato. Trecento milioni sono una goccia nel mare della finanza pubblica, un piccolo osso da sottrarre alle fauci della casta, la metà del tesoretto che a Montecitorio non sanno come sperperare.
E non veniteci a parlare di risorse da reperire a saldi invariati o di compatibilità di bilancio, perché di fronte alla tragedia di quelle persone è più onesto mostrare la faccia di un governo “maledetto” (lo ha detto lei) piuttosto che rifugiarsi in vomitevoli scuse. Se mi leggesse, gentile professore, le chiederei: è troppo sperare di vivere in un paese civile dove un premier possa sobriamente chiedere al signor ministro dell’Economia: “Trovate subito quei soldi, cazzo!”?



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Dissertazioni su Street Art, ne vogliamo parlare? A cura di Toti Clemente

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Un'immagine, un racconto (libro fotografico on line)

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La fotografia è in genere un documento, la testimonianza di un ricordo che raffigura spesso persone e luoghi, ma talvolta può anche costituire lo spunto per fantasticare un viaggio ovvero per inventare un racconto e leggere con la fantasia l’apparenza visiva. (cliccando sopra la foto è possibile visionare il volume)

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