"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

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martedì 30 agosto 2011

La P3, la P4 e quei milioni regalati la pista del denaro porta al Cavaliere

La P3, la P4 e quei milioni regalati la pista del denaro porta al Cavaliere Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi

Quello che abbiamo smesso di chiederci è perché, per conto di chi. Assuefatti all'omeopatico dilagare della corruzione che ha trasformato l'Italia nel paese del "che male c'è, così fan tutti", tutti colpevoli nessun colpevole, scivoliamo distratti sui resoconti di giornata dei giornali, tanto si sa come va il mondo.

Sei Procure, sei filoni di indagine, migliaia e migliaia di pagine agli atti. Berlusconi ha regalato a Dell'Utri dieci milioni di euro? Un uomo generoso, beato lui che ce li ha. Angelucci ha estinto il mutuo da otto milioni di Denis Verdini? Ah. Walter Lavitola, curatore testamentario della un tempo gloriosa testata L'Avanti! paga uno stipendio mensile al procacciatore di protesi e di prostitute Tarantini, rimborsato dal presidente del Consiglio? Era prevedibile, Tarantini del resto ("le donne e la cocaina favoriscono gli affari", un maestro del pensiero) in qualche modo doveva essere messo in salvo. Meglio soldi che un seggio in parlamento, in fondo.

Fu Verdini ad avvisare Caldoro, allora candidato alla presidenza dalla regione Campania, che c'era un dossier "tipo Marrazzo" sul suo conto? Gentile. Del resto fu Berlusconi in persona ad avvisare Marrazzo. Voleva aiutarlo, certo. Un gruppo di faccendieri scambia le sorti politiche di Cosentino con la legge sull'età pensionabile dei giudici. Normale. Si attiva per far pagare alla Mondadori solo il 5 per cento di quel che deve alla Agenzia delle entrate? Gianni Letta segue la vicenda di persona? Vabbè, se è per pagare di meno, chi non lo farebbe, potendo.

Ecco, bisognerebbe ritrovare lo stupore, almeno. Se non l'indignazione la consapevolezza dell'enormità di ciascuna di queste notizie. Ricominciare a chiedersi: ma perché? Per conto di chi? Il Grande Corruttore ha comprato ogni cosa, persone e beni, ha disinnescato alla fine l'unica arma per lui davvero letale: l'intelligenza, la capacità di ciascuno degli italiani di darsi risposte in proprio, senza delegare.

Eppure non è difficile, basterebbe riportare tutto alla dimensione propria e ragionare sui soldi. Come se fossero i nostri, i vostri. Può una persona che guadagna 4000 euro al mese, come dice di sé uno degli indagati P3, spenderne 1000 per invitare ogni giovedì a cena degli amici? Non può, voi non potreste.

Dunque chi lo ripaga, per conto di chi lo fa, e perché? Quando qualcuno vorrà scrivere finalmente in chiaro la storia di come affondò nel pantano da lui stesso progettato l'impero di Silvio B. dovrà raccontare non di donne e di magio e, il collante del ricatto che tutti ammutolisce. Vediamo.

I PRESTITI INFRUTTIFERI - Vuol dire regalo. Non rendono niente, soldi a perdere. Abbiamo qui, venti pagine di relazione della GdF, la relazione sui soldi regalati negli ultimi tre anni da Berlusconi a Dell'Utri. Dieci milioni in tre parti: il 22 maggio 2008 attraverso il Monte dei Paschi, filiale di Segrate (la stessa che stipendiava le Olgettine), febbraio e marzo 2011 su Banca Intesa. Coprono uno scoperto di oltre 3 milioni di euro di Dell'Utri, e sette avanzano.

A cosa servono quei soldi? Perché il presidente del consiglio in carica finanzia con una somma così ingente un suo vecchio amico, certo, un uomo che in questo momento non ha altri incarichi se non la presidenza dei Circoli del Buon Governo, ironia delle parole, oltre ad una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa? Il procuratore Giancarlo Capaldo ha chiesto lo stralcio di questa parte dell'inchiesta P3. Il resto andrà a giudizio a metà ottobre, sui bonifici si continuerà ad indagare. Capaldo si è chiesto perché, in definitiva.

Si deve lavorare ancora per spiegare perché, in cambio di cosa Berlusconi paga l'uomo che gli presentò lo stalliere Mangano. Immaginarlo, indovinarlo non basta a certificare che si tratta di un compenso. Nel faldone bonifici c'è un'altra vicenda per lo meno curiosa: villa Gucci a Firenze, comprata da Denis Verdini per 8 milioni di euro - che non aveva - e in effetti pagata in tre rate dal re delle cliniche private Angelucci, denaro transitato da una società Lussemburghese sulla filiale Roma 5 del banco di Brescia.

Perché Angelucci paga i debiti di Verdini? Non basta accertare il passaggio di denaro, bisogna "chiarire senza equivoci la natura dello scambio". In questo caso, lo scambio tra due uomini che si sono fatti da soli, proprio come il Principale. Un ex portantino del San Camillo il primo, il titolare di una macelleria divenuto presidente di banca, Credito cooperativo fiorentino, il secondo.

Un miglioramento di status, quello di Verdini, che si riverbera anche nella natura dei reati che negli anni, una ventina di procedimenti, gli sono stati contestati. Dallo stupro alla concussione, che è più elegante. Chissà quanti bei ricordi di gioventù, con l'ex barelliere Angelucci, tra un passaggio di milioni e un altro. E comunque perché corrono questi denari e favori? Nell'interesse di chi?

I LUOGOTENENTI - C'è qualcuno che comanda, qualcuno che esegue gli ordini o addirittura li indovina, addestrato a prevenire i desideri. La storia del Grande Corruttore passa per le vicende dei suoi uomini, quelli che si sporcano le mani e qualche volta le lasciano in pasta, il sentimento di impunità e di onnipotenza essendo lo spirito del tempo. Le inchieste di questa stagione passano di qui, conviene conoscerli.

Sono, dirà la storia, tre modesti faccendieri. Quello di Berlusconi si chiama Denis Verdini, era in principio un macellaio di Fivizzano, divenne infine il dominus della sorte politica del suo signore per via dei denari, ovviamente: aveva una banca, teneva i cordoni della borsa e le fila dei moltissimi famigli e questuanti, dei finanziatori venuti da lontano, dalle epoche sepolte del craxismo degli esordi, delle massonerie degli affari, dei faccendieri piduisti da cui tutta questa storia trae origine.

Poi c'è Luigi Bisignani, in stretti rapporti con Gianni Letta: era un ragazzino all'epoca di Licio Gelli, è un crocevia degli affari trent'anni dopo.

Il luogotenente di Tremonti è Marco Milanese, irpino di Cervinara, una laurea assai tardiva, ombra silenziosa e avida del ministro dell'economia.

Le sei inchieste che nel 2011 minano come cariche di tritolo l'edificio già pericolante del Sistema si occupano di loro: i lobbisti a capo di una corte di figurine minori - Fofò, Mimì, Gegè, magistrati e presidenti, imprenditori e aspiranti scudieri - che parlando stretto dialetti di diversi entroterra si riuniscono indifferentemente tra gli stucchi di palazzo Pecci Blunt o sotto una tettoia di un'area di servizio autostradale, fanno a gara ad acquisire credenziali presso "Cesare", lo chiamano così, l'imperatore che tutto muove, per passare poi all'incasso.

Premono sulle corti di giustizia per favorire il lodo Alfano, dunque la di lui impunità; facilitano la nomina di un magistrato amico; fabbricano dossier su un candidato nemico, governano miliardi di appalti pubblici, si regalano barche, macchine e ville, se il mutuo è scoperto arriva presto un imprenditore in debito di gratitudine ad estinguerlo.

Sei inchieste: Milano, Monza, Firenze, Perugia, Napoli, Roma. E sullo sfondo la guerra per la successione: Gianni Letta e Giulio Tremonti, gli eredi naturali, si contendono da mesi, in verità da anni, l'eredità del berlusconismo. Letta è l'Andreotti del Duemila. Ecumenico, trasversale, amico di tutti, destra e sinistra, mediatore congenito fin dal tono di voce. Tremonti è l'uomo del Nord, pratico, antipatico, sodale della Lega di Bossi, la foglia di fico efficiente - a suo modo - in un governo di ventriloqui di modesta competenza. L'uomo dei conti.

E' dunque la storia, questa, della guerra fra Letta e Tremonti: una battaglia che oggi, estate 2011, li vede entrambi in ginocchio, azzoppati dalle inchieste in procinto di andare a dama. Fra settembre e ottobre le procure depositeranno le richieste di rinvio a giudizio dei loro uomini. Il pallino torna nelle mani di Silvio B., Cesare ormai diffidente di entrambi, mentre l'impero costruito negli anni Ottanta sul mattone e poi sulle tv, diventato infine politica allo scopo di mantenere intatte ricchezze e privilegi, tutto intorno si sfarina.

GLI ASSEGNI - La storia è scritta in un vortice di assegni e bonifici firmati da Berlusconi nell'arco di trent'anni. Il primo riemerge dalle nebbie degli esordi, è nelle mani dell'avvocato Stefano Gullo da Agrigento, classe 1923, biografia che incrocia quella di Sindona negli anni della P2. Gullo prestò, allora, un miliardo di lire a Flavio Carboni e Silvio Berlusconi ottenendo in cambio come garanzia assegni da non incassare. Non ha recuperato che 200 milioni, oggi reclama il resto esibendo - appunto - gli assegni firmati Berlusconi. Gli ultimi sono i bonifici di Berlusconi a Dell'Utri di cui si diceva. Prestiti infruttiferi.

Le carte sono agli atti, le fotocopie degli assegni e gli estratti conto in uno dei faldoni sulla scrivania del procuratore Giancarlo Capaldo. P4, P5, P55. Potremo andare avanti all'infinito ma la storia è sempre la stessa. Il sistema è quello, e non è neppure nuovo. Ricordate Evangelisti, "a Frà che te serve?". Era così ai tempi di Andreotti, che del resto è ancora assai presente sulla scena, è così oggi. Solo: a beneficio di un uomo solo.

Possiamo chiamarla P5 o P55 ma per capire il senso della sigla bisogna risalire alla P2, in fondo anche Licio Gelli era un impiegato della Permaflex, Berlusconi allora un giovane affiliato alla Loggia. "Dovrebbero pagarmi i diritti d'autore", disse Gelli anni fa a proposito di Berlusconi e Cicchitto. Più di recente, dei nuovi faccendieri sulla scena: "Dilettanti".

Anche Berlusconi ha detto di loro "pensionati sfigati". Della sfortuna si può discutere, che siano pensionati è una menzogna. Flavio Carboni, signore di Sardegna, viene direttamente dagli anni di Andreotti e di Sindona, crocevia di morti sparizioni e misteri. Arcangelo Martino, socialista napoletano, viene dagli anni craxiani del Raphael. Fu proprio al Raphael, racconta, che presentò negli anni Ottanta a Berlusconi il suo collaboratore Elio Letizia, presente Craxi. Elio Letizia, padre di Noemi. Ricordate cosa disse Berlusconi il primo giorno? "E' la figlia dell'autista di Craxi". Non proprio l'autista, qualcosa del genere.

I soldi, di nuovo - non le donne - sono la pista. I soldi e gli affari. Soldi di antica origine, debiti e sodalizi vecchi di decenni. Le radici alle origini. I frutti, poi, sono i Tarantini di Puglia, gli imprenditori sardi dell'eolico, gli Anemone dei grandi appalti e delle case ad altrui insaputa. E' come se sulla scena delle inchieste, oggi, ci fossero la prima e la terza generazione di affaristi. I "pensionati" della Prima repubblica e i giovani affaristi rampanti dell'ultima. Un passo indietro, nell'ombra, la generazione di mezzo quella delle grandi fortune: il ragazzo sveglio di allora, anziano Cesare oggi.

UNA SOLA STORIA - Il "sistema gelatinoso" dei grandi appalti, la fabbrica del fango della P3, le pressioni sui magistrati e sulla Guardia di Finanza della P4: è una sola unica storia, la storia della corruzione eletta a sistema. Quando Caldoro dice: "Mi convocò Verdini alla Camera, mi disse che c'erano storie di sesso sul mio conto. Mi disse che si sentiva in dovere di informare Berlusconi" siamo tutti in grado di leggere il sottotesto di queste parole.

Perché, in favore di chi? E quando si incontrano poi a casa Verdini per definire la candidatura di Arcibaldo Miller, l'interessato presente, Dell'Utri e Carboni. Per conto di chi? In un interrogatorio di sette ore Verdini è chiamato a dar conto di 2 milioni e 600 mila euro transitati dalla sua banca, in seguito oggetto di un'ispezione della Banca d'Italia che ne denuncia le molte irregolarità e la condanna a pagare una multa. Soldi che arrivavano da un imprenditore romagnolo dell'eolico, Fabio Porcellini. E finivano dove? "A finanziare il Giornale", risponde Verdini. Il Giornale di Paolo Berlusconi, edizione Toscana. E perché un imprenditore dell'eolico con interessi in Sardegna, regione guidata dall'amico Cappellacci, dovrebbe pagare i debiti del Giornale. Per favorire chi, oltre a se stesso?

NELL'OMBRA - Dice Arcangelo Martino di Pasquale Lombardi, il socialista e il democristiano campani protagonisti dell'inchiesta P3: "Lombardi aveva rapporti con Gianni Letta, più volte ho sentito le loro telefonate. Disse che stava aggiustando la faccenda Mondadori perché fosse trasferita alle sezioni unite della Corte". I nomi di Letta e di Tremonti - nelle 66mila pagine di un'inchiesta, le 80mila di un'altra - compaiono così, interlocutori invisibili all'altro capo del telefono. Beneficiari sedicenti inconsapevoli di appartamenti di gran lusso, mandanti mai espliciti.

Cesare è il convitato di pietra. Quando in una nota in calce a uno dei fascicoli resta l'appunto dei Carabinieri - "Cesare è il nome in codice che gli interlocutori telefonici danno a Silvio Berlusconi" - succede la fine del mondo. Per il metodo, non per il merito. Formalmente quella postilla doveva essere secretata, è rimasta per errore.

Leggiamo dagli atti. La cricca si attiva per la riammissione della lista Formigoni in Lombardia, per il dossier sul Caldoro che intralciava Cosentino in Campania, per la nomina di Alfonso Marra e il tentativo di candidatura di Arcibaldo Miller, questi ultimi magistrati perché le carte pullulano di giudici non ascrivibili alle toghe rosse, al contrario, giudici amici e compiacenti che volentieri partecipano a convegni 'all inclusive' nei più esclusivi resort della penisola, paga Carboni, paga il presidente della regione Cappellacci. Perché, nell'interesse di chi? Chi è l'utilizzatore finale?

CADUTI SUL CAMPO - Il primo a cadere, tra gli uomini di Gianni Letta è Guido Bertolaso, inviso assai a Tremonti. Il sistema gelatinoso degli appalti, il G8 e i mondiali di nuoto, Balducci, Anemone, De Santis, Della Giovanpaola, il procuratore Achille Toro, le aragoste per pranzo e l'eolico per cena, i centri benessere e gli evviva la notte del terremoto. Bertolaso declina.

Tremonti gioisce, ma subito l'inchiesta Finmeccanica - false fatturazioni, fondi neri - in un filone secondario, Eurotec, porta in luce la strana storia del suo consigliere Milanese. Questa è la vicenda di una barca ma sullo sfondo c'è un giro vorticoso di benefici galattici, di regali stellari, una vita vissuta nello sfarzo supremo mentre il paese intero si accinge a metter mano al portafogli per risanare la voragine del debito in cui è precipitato. Il ministro dell'Economia chiede enormi sacrifici agli italiani e il suo braccio destro veleggia di regalo in privilegio.

Lui stesso, il ministro, abita un appartamento da Milanese procurato. L'inchiesta, a parte i Rolex, parla di tre milioni e mezzo di tangenti per assicurarsi appalti assai più redditizi. Letta assesta un colpo alla Rai morente - perché, nell'interesse di chi? - piazza la cattolicissima Lorenza Lei alla direzione generale piuttosto che il candidato di Tremonti, Angelo Petroni. Subito Bisignani, uomo di fiducia di Letta a Palazzo Chigi, già lobbista ai tempi del tangentone Enimont e delle vicende Ior-Vaticano, finisce nell'inchiesta napoletana P4, altro giro di corruzione altre pressioni altri regali.

Il 2 agosto l'aula di Montecitorio autorizza l'acquisizione degli atti su Milanese (corruzione, associazione a delinquere, favoreggiamento) e non per Verdini su cui pende una richiesta di rinvio a giudizio per tentato abuso d'ufficio nella ricostruzione dell'Aquila. Un colpo a Tremonti, senz'altro: Verdini salvo, Milanese no.

Il 3 agosto Capaldo lascia l'inchiesta Enav-Finmeccanica per la storia del pranzo con Tremonti e Milanese , il 4 chiude le indagini sulla P3 e stralcia la posizione Berlusconi-Dell'Utri quanto ai bonifici di cui sappiamo. Su quelli si indagherà ancora. Intorno a Ferragosto emerge che Tarantini, il procacciatore di prostitute pugliese, è pagato un tanto al mese da Walter Lavitola, direttore de l'Avanti!, a sua volta rimborsato da Berlusconi. Per cosa? "Per generosità, perché Tarantini era disperato", risponde Cesare.

Lavitola, attivissimo nel procurare documenti sul caso appartamento di Montecarlo-Gianfranco Fini nei giorni della rottura politica tra i due fondatori del Pdl, conferma che si tratta di beneficienza. "Un uomo disperato", Tarantini. I molti disperati d'Italia sanno ora a chi rivolgersi. A patto di avere qualcosa da offrire in cambio, è ovvio. "La generosità di per sé non è un reato, bisogna certificare con precisione in cosa consiste il do ut des". Immaginarlo non basta. Un assegno, un bonifico, un prestito infruttifero. Cesare paga, in questo scorcio di fine epoca. Generosamente, "disinteressatamente".

Peccato per la concomitanza con la manovra, che gli italiani pure pagheranno un conto. Che sappiano almeno con esattezza per coprire cosa, per salvare chi. Il pantano è un pozzo senza fondo, non basteranno pochi miliardi a risanarlo. Il Grande Corruttore sarà al sicuro fino al minuto esatto in cui non cominceremo tutti a chiederci perché, a favore di chi. Senza lasciare alla magistratura la supplenza, che prima del reato c'è il delitto politico. La responsabilità morale e materiale dello scempio.

Concita De Gregorio (La Repubblica - 29 agosto 2011)


Palermo passeggiando

Passaparola: "Il Re sola"

Testo:

Buongiorno a tutti. Oggi le parole chiave del Passaparola sono: Vice Re e Ricatti.
I Vice Re chi sono? Sono i personaggi più vicini ai padroni della politica italiana, che sono tutti sotto indagine o sotto processo, alcuni sono già passati per le patrie galere e altri ci stanno, in questo momento, nelle patrie galere e altri, magari, ci finiranno e che se parlassero sarebbero in grado di radere al suolo l’intera classe politica almeno ai massimi vertici.

Tutti i ricatti del Presidente - Ricatto. È la conseguenza di questa situazione, e cioè il fatto che c’è una situazione oggettivamente ricattatoria da parte dei vice re nei confronti dei re.
Perché se, appunto, i vice re si lasciassero scappare qualche ricordo o qualche parola compromettente, i re sarebbero politicamente morti.
Ancora una volta, quindi, si vede come le indagini giudiziarie abbiano una ripercussione politica soprattutto a proposito della ricattabilità dei nostri politici, che invece dovrebbero avere le mani libere per decidere per il bene comune anziché per il bene proprio, o per gli interessi propri.
La ricattabilità. In questi giorni, per parlare del re numero 1, ‘il re sola’ come l’ha chiamato il vignettista Giannelli in un suo libro, Berlusconi, si è scoperto che appunto Berlusconi è molto munifico, è una sorta di buon samaritano nei confronti di personaggi ben poco raccomandabili: li paga stabilmente. C’è una lunga lista di persone che vengono o sono state pagate da Berlusconi, l’ultima di questa lista, di queste persone è Giampi Tarantini.
Giampi Tarantini è un signore che fu arrestato l’anno scorso per favoreggiamento della prostituzione, traffico di cocaina e corruzione nella malasanità pugliese, ed è anche colui che portava le prostitute a Palazzo Grazioli e in altre ville del Cavaliere; anzi, era entrato in contatto con il Cavaliere proprio affittando una villa in Sardegna, vicina a Villa Certosa, riempiendola di giovani fanciulle e immediatamente fu contattato da un intermediario, anzi da un’intermediaria di Berlusconi che glielo presentò e di lì iniziò questo rapporto da cui Tarantini sperava di ricavare dei vantaggi.
Tarantini che vendeva protesi sanitarie alle Asl della Puglia, voleva mettersi in grande, voleva ingrandirsi, voleva arrivare a Roma e voleva mettere un piede almeno nel grande business della protezione Civile, c’era ancora Bertolaso. Il suo scopo era quello di diventare indispensabile per Berlusconi affinché Berlusconi si sdebitasse con lui raccomandandolo presso Bertolaso e facendolo entrare in quella ristretta cerchia di fortunati imprenditori che, nel segreto totale degli appalti della Protezione Civile, lucravano sulle disgrazie, sulle catastrofi naturali e sui grandi eventi.
Gli andò male, perché finì per pagare soltanto lui quel progetto che aveva messo in piedi di intesa con Berlusconi, in quanto Berlusconi appunto ne svicolò in quanto utilizzatore finale delle prostitute che gli portava Tarantini, il quale poi pare le pagasse lui di tasca propria, proprio per evitare che Berlusconi capisse che non le aveva conquistate con il suo fantastico charme, ma le aveva semplicemente utilizzate – per usare un orribile verbo dell’Avvocato Ghedini – con Tarantini che dietro la porta poi le remunerava per i loro servigi sessuali al Presidente del Consiglio.
La stessa cosa faceva Tarantini con il vice Presidente della giunta Vendola, Nicola Frisullo, uomo di D’Alema, uomo forte di D’Alema nella giunta Vendola, che fu per questo arrestato, perché? Perché pare favorisse gli affari di Tarantini in cambio, appunto, di tangenti sessuali, ragazze che nei giorni pari venivano portate a Palazzo Grazioli e nei giorni dispari venivano portate a Frisullo.
Bene. Si è scoperto in un’indagine di Napoli, dove Berlusconi figura come vittima di un ricatto, cioè di un’estorsione, che Tarantini prendeva, riceveva soldi dal Cavaliere: 500 mila euro in un’unica soluzione e poi dei versamenti periodici, pare addirittura mensili, che arrivavano fino a 20 mila euro al mese.
Berlusconi non ha negato questa circostanza, l’ha seraficamente ammessa, ormai non si nega più nulla, si ammette tutto come se fossero cose normali, e ha detto – cito testualmente – “ho aiutato una persona e una famiglia con bambini che si trova in gravissime difficoltà economiche, nulla di illecito, mi sono limitato ad assistere un uomo disperato non chiedendo nulla in cambio, sono fatto così”. Ecco, quest’uomo disperato in gravissime difficoltà economiche coi bambini a carico, poveretto, dipinto come un piccolo fiammiferaio, è in realtà questo Giampi Tarantini che a Roma vive in un appartamento nella zona di via Veneto, una delle zone più care di Roma, più lussuose di Roma e che questa estate era segnalato a Cortina, altro covo di piccoli fiammiferai!
Naturalmente non c’è nulla di illecito a dare dei soldi a Tarantini se è tutto avvenuto alla luce del sole. Il problema è che il Presidente del Consiglio se dà soldi a qualcuno dovrebbe spiegare il perché. E dato che di persone in gravissima difficoltà con figli a carico ce ne sono diversi milioni in Italia, e ce ne saranno molti di più quando sarà passata la manovra finanziaria che farà pagare sempre ai soliti noti il prezzo dei furti dei soliti ignoti, non si capisce per quale ragione lui debba aiutare proprio quel signore lì, ammesso e non concesso che fosse in miseria e non sapesse come sfamare i suoi figli.
Nell’indagine e dalle intercettazioni risulta, una cosa che intanto tutti sanno, e cioè che Tarantini sta per essere processato per avere portato le prostitute a casa di Berlusconi, perché organizzare la prostituzione, sfruttarla e favoreggiarla è reato; non è reato esercitarla da parte della prostituta e non è reato utilizzarla – sempre per usare l’orribile termine di Ghedini – da parte del cliente, detto anche utilizzatore finale.
Ma naturalmente il racconto di Tarantini non farebbe, nel processo di Bari, che riportare all’attenzione uno scandalo incredibile, e cioè quello di queste prostitute che entravano e uscivano dalla residenza, mezzo privata e mezzo pubblica di Palazzo Grazioli, del Presidente del Consiglio, munite di fotografie e filmati, conversazioni registrate di nascosto, che avrebbero potuto costituire ovviamente materiale ricattatorio o da parte loro o da parte di altre persone alle quali eventualmente queste ragazze avessero venduto questo materiale. Potrebbero essere interessati i servizi segreti, potrebbero essere interessati uomini della criminalità a ricattare il Presidente del Consiglio italiano con quel materiale compromettente. E quindi si capisce per quale motivo è bene tenersi buono Tarantini.
Ma c’è un fatto in più: quell’indagine, quel processo si fonda in gran parte, oltre che sulle rivelazioni della D’Addario e di altre ragazze, su intercettazioni telefoniche sui telefoni di Tarantini e di quelle ragazze, telefoni ai quali spesso chiamava o dai quali veniva chiamato Berlusconi, che non era intercettato, ma che era dunque ascoltato, perché parlava su telefoni di prostitute e di un pappone, quelli sì intercettati.
Naturalmente se si fa il processo in un pubblico dibattimento tutto questo materiale, che finora è rimasto segreto, diventerebbe pubblico e quindi noi avremmo questo bel quadretto edificante che riguarda il Presidente del Consiglio, le prostitute, il pappone. Ecco perché è assolutamente necessario, visto che il processo non si può non fare, che Tarantini patteggi la pena prima che inizi il processo, così il processo non si celebrerebbe nella forma del dibattimento, ma resterebbe tutto chiuso nell’accordo tra le parti, cioè l’Imputato che patteggia una pena davanti al Pubblico Ministero con il consenso del Gip.
E pare che proprio questo sia lo scopo al quale tende Berlusconi: far patteggiare Tarantini affinché si prenda ovviamente tutte le colpe e non vengano fuori quelle intercettazioni che potrebbero ulteriormente danneggiare, se possibile ovviamente, un’immagine già sputtanata come quella del nostro Presidente del Consiglio.
Vice e re e ricatti.
In questo affare pare che fosse entrato, prendendosi una percentuale, secondo l’Accusa, di quei soldi dati da Berlusconi a Tarantini, il famoso o famigerato Lavitola. Chi è Lavitola? Lavitola è quello strano giovanotto direttore del Nuovo Avanti, l’organo di quello che resta del partito socialista, pensate com’è ridotto, partito socialista che l’anno scorso diventò famoso perché, con i suoi rapporti di diplomatico informale nel Centro America, si era dato molto da fare per cercare di far risultare che l’alloggio di Fini a Montecarlo era in realtà di proprietà del cognato e che quindi Fini aveva di fatto venduto un bene del partito a suo cognato sotto costo. Questa cosa non fu mai dimostrata naturalmente, ma Lavitola si diede molto da fare. Bene. Lavitola non si sa a che titolo è entrato in questa vicenda Tarantini e pare che abbia trattenuto, secondo l’Accusa, una parte di quei soldi.
Un po’ quello che è accusato di avere fatto Emilio Fede con i soldi che Berlusconi ha generosamente elargito a un altro dei suoi vice re, attualmente in carcere, Lele Mora, che era subentrato a Tarantini nel procacciargli le prostitute, secondo l’Accusa della Procura di Milano. Lele Mora è in galera per il suo fallimento e per i suoi maneggi, ed è un altro che se parla... beh, insomma, potrebbe raccontare molte cose. È sotto processo anche lui per queste vicende di prostituzione a Milano insieme a Emilio Fede e, guarda un po’, risulta avere ricevuto da Berlusconi 2 milioni di euro, 2 milioni di euro mentre aveva una bancarotta in corso delle sue società. Su questi 2 milioni di euro, secondo l’Accusa, Emilio Fede avrebbe fatto una cresta: si sarebbe preso una percentuale perché si era dato molto da fare presso Berlusconi perché Berlusconi aiutasse anche questo altro povero piccolo fiammiferaio di Lele Mora che le portava le ragazze, le olgettine.
Decine e decine, centinaia e centinaia di migliaia di euro a Giampi Tarantini, 2 milioni e passa di euro a Lele Mora, entrambi imputati per prostituzione; soldi alla famiglia di Noemi Letizia, la ragazza che quando compì 18 anni Berlusconi si precipitò a partecipare alla sua festa in uno strano posto a Casoria; soldi a profusione alle ragazze dell’Olgettina, le buste del ragionier Spinelli, prima evidentemente per i servigi che rendevano ad Arcore e poi evidentemente per il timore che dichiarassero cose ai magistrati; tenete presente che in autunno entrerà nel vivo il processo sul caso Ruby, e quindi ci sarà questa sfilata di queste ragazze che andranno a raccontare che cosa facevano ad Arcore, e perché ricevevano tutti quei soldi, e perché avevano la casa gratis nel quartierino dell’Olgettina, e perché venivano loro regalati pacchi di danaro, gioielli, favori, scritture nelle televisioni, particine in film. Ruby ha lasciato nel suo diario la scritta relativa ad una promessa di 5 milioni di euro da parte di Berlusconi che le avrebbe detto “ti coprirò d’oro se tu farai la matta quando verrai interrogata, cioè dirai cose contraddittorie in modo da screditare completamente la tua parola e quindi renderti un testimone inutile in quel processo”, da cui Berlusconi evidentemente ha molto da temere.
I famosi 600 mila euro... scusate, 600 mila dollari all’Avvocato Mills, il quale ha messo anche lui nero su bianco al suo commercialista che ‘Mister B’ si era salvato nei processi Guardia di Finanza All Iberian grazie alla sua testimonianza reticente e subito dopo era stato ringraziato con 600 mila euro.

Da Tremonti a Penati - Poi c’è Dell’Utri che sulle indagini della P3 si è scoperto avere ricevuto quasi 10 milioni di euro sotto forma di prestito infruttifero da parte di Berlusconi, che lui naturalmente ha detto che restituirà, ma intanto è un modo come un altro per far avere dei soldi a un altro povero amico in difficoltà, un altro piccolo fiammiferaio, che oltre a prendere i soldi da noi come parlamentare, prende privatamente i soldi da Berlusconi. E beh, insomma, per quale motivo sia opportuno pagare Dell’Utri è inutile che ve lo racconti, ve lo immaginate ben da soli, è dagli anni 60 che Dell’Utri custodisce i segreti delle origini delle fortune di Silvio Berlusconi e certi strani rapporti siciliani.
A Napoli c’è un’altra indagine, sempre con Berlusconi vittima di ricatto ed estorsione, in cui il ricattatore indagato sarebbe Ernesto Sica.
Ernesto Sica era sindaco a Ponte Cagnano, si era messo in testa di fare il governatore della Campania, laddove poi invece fu candidato Caldoro e con l’aiuto, sempre secondo l’Accusa, di Cosentino e di altri, si diede da fare per eliminare Caldoro e fare posto a se stesso. Eliminare Caldoro come? Con un dossier in cui si insinuava che Caldoro fosse un frequentatore di transessuali, come Marrazzo. Dopodiché non ottenne la candidatura a governatore, ma ottenne che Berlusconi e il suo entourage intervenissero su Caldoro per nominarlo assessore nella nuova giunta regionale e fu nominato assessore. E quale arma di ricatto utilizzò per diventare assessore? Secondo l’Accusa ricattò Berlusconi, andandone a parlare con il coordinatore del partito Denis Verdini, a proposito di quello che lui, Sica, sapeva della compravendita dei senatori del centro sinistra, che tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008 dovevano passare, e poi in effetti passarono, al centro destra facendo mancare la maggioranza al centro sinistra al Senato. E infatti il Governo Prodi cadde nel febbraio del 2008 a causa del ritirarsi di alcuni parlamentari proprio al Senato.
E Sica minacciava di rivelare quello che sapeva sulla compravendita dei senatori, nella quale evidentemente aveva avuto un ruolo di primo piano.
Si potrebbe andare avanti all’infinito a parlare di tutti quelli che hanno ricevuto e ricevono soldi dal Presidente del Consiglio. Sempre soldi perché stiano zitti, Sempre soldi perché c’è la paura che ricordino e parlino. Abbiamo il Presidente del Consiglio più ricattabile e più ricattato della storia dell’umanità. E questo spiega per quale motivo non ha tempo di occuparsi dei nostri problemi, ne ha troppi di suo di problemi per pensare anche ai nostri.
Ma non è l’unico: se lui è il più ricattato di tutti quanti ci sono purtroppo altri casi, che noi scopriamo sempre grazie a indagini giudiziarie che vanno a vedere là dove noi non possiamo mettere il naso, perché possono per fortuna ancora usare le intercettazioni telefoniche e ambientali, altri personaggi che appaiono, non si sa se ricattati, sicuramente ricattabili.
Un altro personaggio è Giulio Tremonti. Giulio Tremonti ha il suo ex braccio destro, Marco Milanese, che rischia di finire in galera entro i prossimi due mesi: alla ripresa dell’attività parlamentare il Parlamento e la Camera sarà chiamata a votare pro o contro la richiesta del Gip di Napoli, che ha già disposto la cattura di Milanese, per gravi casi di corruzione, compravendita di nomine, di posti, di favori all’ombra di Tremonti, era Milanese a fare le nomine nelle società controllate o partecipate dal Ministero del Tesoro e, secondo l’Accusa, se le faceva remunerare con soldi, tangenti, regali, gioielli. E sosteneva spesso di dover girare questi regali al Ministro Tremonti, ecco perché nel dicembre dell’anno scorso Tremonti fu interrogato come testimone e i magistrati gli dissero che cosa avevano scoperto che faceva Milanese e che spendeva il suo nome, addirittura a proposito di un preziosissimo orologio d’oro che sarebbe stato destinato a lui. Quindi Tremonti dal dicembre dell’anno scorso sapeva cosa faceva il suo braccio destro. Eppure, dopo averlo saputo, non fece nulla, non mosse un dito: continuò a tenersi Milanese come suo consigliere privilegiato al Ministero del Tesoro, dopo averlo fatto eleggere in Parlamento, e soprattutto continuò ad abitare in un appartamento il cui affitto lo pagava Milanese, ed erano 8 mila e 500 euro al mese. Dove prendesse i soldi per pagare l’affitto a Tremonti, oltre ovviamente alle spese che doveva sostenere per sé, Milanese, non si è mai capito o forse lo sta rivelando l’indagine. Abbiamo scoperto che Tremonti viveva a casa sua girandogli poi informalmente brevi mano, si direbbe in nero, 4000/4500 euro al mese.
In un paese serio non si può fare un così largo uso di contanti senza venire segnalati immediatamente all’antiriciclaggio, ma da noi sotto i 5 mila euro si possono fare movimenti di contanti, perché questo Governo infame ha cancellato una delle poche norme giuste fatte dal centro sinistra, in particolare da Padoa Schioppa e da Visco che avevano reso tracciabile i pagamenti in contanti per somme anche di molto inferiori.
Bene. Tremonti ha mollato la casa di Milanese e ha accettato le dimissioni di Milanese da suo consigliere soltanto a luglio, giugno/luglio, quando è partita la richiesta di autorizzazione all’arresto di Milanese da parte del Gip di Napoli. Perché ha aspettato così tanto visto che sapeva tutto da quando l’avevano interrogato nel dicembre scorso? Lui ha detto “beh, in passato vivevo in una caserma della Guardia di Finanza, ma poi ho deciso di lasciarla perché mi sentivo pedinato e spiato da finanzieri facenti capo alla corrente della Guardia di Finanza fedele a Berlusconi”. Solo che invece di denunciare loro e cacciarli dalla Guardia di Finanza, visto che Tremonti è il superiore diretto della Guardia di Finanza e di lasciare il governo Berlusconi, avendo anche soltanto il sospetto che ci fosse Berlusconi dietro quel caso di spionaggio, Tremonti si è tenuto tutto per sé e lo ha rivelato salvo poi mezzo smentirlo in una intervista a Repubblica.
Ora Milanese rischia di fare la fine di Alfonso Papa, primo e unico caso finora di parlamentare arrestato con l’autorizzazione del Parlamento per reati non di sangue; finora soltanto quattro parlamentari nella storia repubblicana erano stati arrestati ed erano tutti accusati di reati di armi oppure di sangue, come Moranino, come Toni Negri, come Abbatangelo e come Saccucci. Basta, da allora tutte le richieste di arresto per parlamentari erano state respinte, mai nessuno era stato autorizzato all’arresto per reati di soldi contro la pubblica amministrazione. Il primo è stato Alfonso Papa. Il secondo rischia di essere Milanese.
Forte è la tentazione di tutti i nemici che ha Tremonti nella maggioranza di votare per l’arresto del braccio destro di Tremonti, nella segreta speranza che Milanese in carcere dica qualcosa contro Tremonti. E quindi voi immaginate in questo momento che razza di clima ricattatorio c’è intorno all’uomo che deve firmare, che ha già firmato le due manovre finanziarie dell’estate, e che adesso deve trattare con i partiti della sua maggioranza sulle modifiche al decreto di ferragosto. Sarà libero di pensare a quello che succede, oppure in questa vicenda entreranno anche i destini del suo braccio destro che se andasse in carcere ovviamente rischierebbe di fargli del male? E che cos’è succederà alla fine? Il centro destra resterà compatto a difesa del suo parlamentare, come ha fatto per le richieste d’arresto per esempio nei confronti di Cosentino, che fu respinta? Oppure scaricherà Milanese per scaricare Tremonti?
Voi vedete come i nostri soldi e i destini dell’economia sono collegati a questo clima di ricattabilità che collega i vice re ai re.
E arriviamo al caso Penati. Perché Penati sta a Bersani come Milanese sta a Tremonti.
Bersani quando divenne segretario del partito democratico due anni fa dopo il breve interregno di Franceschini e la prima segreteria Veltroni, nominò come suo fedelissimo braccio destro, il capo della sua segreteria politica, cioè il suo principale collaboratore, Filippo Penati. Era stato Presidente della Provincia di Milano, era stato sindaco di Sesto San Giovanni in precedenza e che era favoritissimo nel diventare il candidato del centro sinistra alla Regione Lombardia, cosa che poi fu e fu sconfitto da Formigoni e allora entrò in consiglio regionale e diventò il vice Presidente del consiglio regionale della Lombardia.
Penati sarebbe già in carcere se l’altro giorno il Gip di Monza non avesse derubricato le accuse che gli muove la Procura di Monza da concussione a corruzione.
Qual è la differenza? La concussione è un reato più grave della corruzione, perché è un’estorsione commessa dal pubblico ufficiale “o mi dai i soldi oppure io non ti do gli appalti”, la corruzione invece è: “ci mettiamo d’accordo, io ti do gli appalti e tu mi dai i soldi”. Nel primo caso c’è una violenza del pubblico ufficiale sul privato che paga e quindi concussione, reato commesso soltanto dal pubblico ufficiale, mentre il privato che paga è vittima di quella concussione, è come il commerciante che è costretto a pagare il pizzo alla mafia perché la mafia è più forte e lo mette in soggezione. La corruzione invece si commette insieme, di comune accordo, senza che uno faccia violenza all’altro, perché è più comodo così: io mi becco i soldi della tangente, tu ti becchi l’appalto, e tanti saluti al libero mercato e alla trasparenza.
Secondo la Procura Penati in alcuni casi era colpevole di concussione, e questo cosa cambia? Beh, cambia per quanto riguarda il massimo della pena in base al quale si calcola il termine di prescrizione: per la concussione la pena è più alta e quindi la prescrizione è più lunga, per la corruzione la pena è più bassa e la prescrizione è più corta. Grazie al fatto che il Gip ha stabilito che Penati e gli imprenditori erano parte dello stesso sistema criminoso di compravendita delle pubbliche funzioni, c’era corruzione da parte sia di Penati sia degli imprenditori che gli pagavano le tangenti o che dicono di avergli pagato le tangenti e che adesso stanno collaborando con la giustizia e quindi devono essere processati tutti. Il reato è punito con una pena fino a cinque anni e la prescrizione scatta dopo sette anni e mezzo dal momento in cui è stata data e presa la tangente. Sette anni e mezzo purtroppo non bastano, perché i fatti, secondo il magistrato, già accertati finora, vanno fino al 2004. Voi fate 2004 più sette e mezzo vedete che il reato è attualmente, proprio in questo periodo, prescritto, quindi non c’è modo di fare un processo, a meno che naturalmente l’Imputato non rinunci alla prescrizione, cosa che un politico accusato di reati infamanti, mica reati di opinione o reati bagatellari, dovrebbe sempre fare in un paese serio; fermo restando che non esistono paese nei quali al momento del rinvio a giudizio la prescrizione continui a decorrere, quindi in un altro paese basterebbe rinviare subito a giudizio Penati e la prescrizione non ci sarebbe più, da noi invece c’è questa follia che è costruita per far scattare sempre la prescrizione, soprattutto per certi tipi di reato.

Penati corrotto e contento - Quindi soltanto perché le tangenti, pur ritenute vere, sono state chiamate corruzione anziché concussione Penati non è stato arrestato perché è scattata prima la prescrizione. Non è sempre stato così. Fino a sei anni fa la prescrizione per i reati di corruzione scattava dopo quindici anni dal momento in cui erano stati commessi i reati medesimi. Da quando è stata approvata la legge Ex Cirielli dal centro destra nel 2005 la prescrizione è stata dimezzata: prima scattava dopo quindici anni, dal 2005 scatta dopo sette anni e mezzo, dal momento in cui sono stati commessi i reati, che di solito vengono scoperti molto dopo rispetto a quando sono stati commessi, per cui c’è la garanzia praticamente assoluta che in sette anni e mezzo, dal momento in cui è stata pagata una tangente, è impossibile riuscire a fare le indagini, l’udienza preliminare, il processo di primo, secondo e terzo grado. In questo caso, visto che le cose sono saltate fuori così tardi, non ci sarebbe il tempo neppure per concludere le indagini.
Per Penati comunque la responsabilità non cambia minimamente perché, perché sia che sia corruzione sia che sia concussione il Giudice terzo, il Gip di Monza, ha stabilito che lui è un corrotto, le tangenti le ha prese.
Cambia semmai la posizione degli imprenditori, che nel caso della concussione sono vittime di una estorsione commessa in ipotesi da Penati, mentre invece nel caso della corruzione sono complici suoi e quindi invece di essere vittime e Parti Civili nel processo diventano complici, coimputati e quindi vengono processati anche loro, ma per Penati le cose non cambiano: tangente era con la concussione, tangente è la corruzione.
Quindi non si capisce come abbia potuto, con quale faccia di bronzo abbia potuto l’altro giorno dire “sono felice perché si sgretolano le accuse nei miei confronti e cadono in pezzi”. Si sgretola che? Cade in pezzi che? Il Giudice ha stabilito che sei un corrotto anziché un concussore, sai che gioia! Sai che differenza, c’è proprio da esultare! Abbi il coraggio di dire: sono felice perché l’ho fatta franca perché è scattata la prescrizione.
E qui usciamo dal campo Penati ed entriamo nel campo PD, perché Penati non è mica un passante o un dirigentunquolo locale. Penati era, fino a qualche mese fa, il braccio destro di Bersani e quindi Bersani dovrebbe spiegare intanto perché l’ha scelto, se davvero un sistema così ramificato e antico che risale a quindici/vent’anni fa e che coinvolge enormi aree industriali dismesse che andavano assegnate a questa o a quella ditta, con sempre le cooperative rosse dietro, beh se questo enorme sistema così ramificato e antico poteva sfuggire al controllo del partito. È possibile che a Milano nessuno avesse avvertito Bersani di quello che si diceva che stesse facendo Penati da anni, anni e anni? Da quando era sindaco di Sesto San Giovanni per poi diventare Presidente della Provincia e poi diventare candidato a Presidente della Regione? Come funzionano i controlli interni ai partiti? È possibile che questa cosa l’abbiano scoperta adesso che i magistrati - che sono un po’ come i cornuti, sono sempre gli ultimi a sapere - l’hanno finalmente accertata? È possibile che non fossero giunte voci al partito di Milano e al partito di Roma? O non sarà invece che Penati avesse fatto carriera fino a diventare il braccio destro di Bersani proprio perché nel partito di solito fanno carriera quelli che portano molti soldi?
Perché Penati probabilmente non si è arricchito personalmente, il sospetto anzi, è che in parte gli imprenditori locali si sdebitassero con lui per finanziare il partito a Milano e in parte - parlo delle cooperative rosse nazionali che sempre erano comprese nel prezzo - si sdebitassero poi con il partito a livello nazionale, il che renderebbe assolutamente impossibile che a livello nazionale non si sapesse quale ruolo giocava Penati nel far lavorare coloro che poi pagavano lui e il partito.
Bersani finora ha balbettato, all’inizio ha detto “ho fiducia nella magistratura, ma anche in Penati”, che è la formula paracula di dire ‘ho fiducia negli accusatori ma anche nell’accusato’, adesso però non ci sono più degli accusatori, cioè dei PM o dei testimoni o degli imprenditori: c’è un Giudice, c’è un Gip, un Giudice terzo e forse le cose cambiano. Infatti dopo le paraculate delle autosospensioni dagli incarichi, ma non dallo stipendio di consigliere regionale, adesso Bersani ha deciso di mandare Penati davanti a una commissione di garanzia del partito, che dovrebbero essere i probiviri.
Il Corriere della Sera racconta che finora i probiviri del PD, con tutto quello che è successo nel PD in questi mesi, si sono occupati di un unico caso e cioè di quattro parlamentari Lumia, Della Seta, Ferrante e Realacci che avevano osato criticare Crisafulli, quello che era stato intercettato e filmato mentre chiacchierava amabilmente di appalti e assunzioni con un boss mafioso a Enna, e che naturalmente fu promosso da Veltroni parlamentare del partito democratico. Bene, la Commissione di Garanzia non si è occupata di Crisafulli, uno scandalo a cielo aperto, che attualmente è pure indagato, ma si è occupata di quelli che avevano osato criticarlo e gli aveva fatto un culo così! A questi quattro reprobi che avevano osato criticare quel bel giglio di Crisafulli. Adesso Penati andrà finalmente davanti a questa Commissione di Garanzia che è rimasta disoccupata evidentemente in tutti questi anni, e vedremo cosa decideranno. Purtroppo pare un sistema un po’ tardivo di risolvere il problema, perché in un partito serio quando un Giudice, un Gip si pronuncia nei termini in cui si è pronunciato il Gip di Monza, parlando di gravissimi casi di corruzione, un partito serio caccia questo signore e gli dice ‘tu adesso se vuoi avere una speranza di rientrare in politica ti fai processare, perché stiamo parlando di reati di corruzione, non di reati lievi o di opinione, ti vai a far processare rinunciando alla prescrizione, se non rinunci alla prescrizione ti cacciamo’, questo dovrebbe essere una regola. Di fronte a certi tipi di reati se non si rinuncia alla prescrizione si è fuori. Perché se si prende la prescrizione e si va a casa si è esattamente come Berlusconi, e chiunque osi criticare Berlusconi perché ha preso sei prescrizioni, spacciandole per assoluzioni, dovrebbe essere coerente, e invece questi signori coerenti non lo sono. Infatti balbettano sulla rinuncia alla prescrizione, perché? E perché creerebbe un pericoloso precedente.
Anche D’Alema dovrebbe spiegarci per quale motivo prese e portò a casa la prescrizione di un vecchio finanziamento illecito che gli veniva contestato e che fu accertato dai magistrati per 20 milioni di lire negli anni 80 dal re delle cliniche private pugliesi, tale Cavallari.
Ecco, adesso il prossimo passo dell’indagine della Procura di Monza è capire dove andasse questa montagna di soldi che gli imprenditori dicono di aver dato a Penati. Andavano a Penati? Andavano a Penati e ai suoi uomini? Andavano in parte a Penati e ai suoi uomini e in parte al partito di Milano? O c’era anche un’altra deviazione dell’oleodotto che portava a Roma? Sto parlando fino ad una certa fase, fino al 2008 dei DS, e dopo quella fase naturalmente se i finanziamenti sono proseguiti sto parlando del partito democratico. Vedremo cosa riservano le indagini. Intanto noi siamo di fronte ad una classe politica che ha i suoi tre uomini più importanti: il Presidente del Consiglio, il Ministro dell’Economia e il leader del maggiore partito di – facciamo finta che sia vero - opposizione, in condizioni di ricattabilità assoluta. Perché è evidente che una sola parola di Penati sui suoi rapporti con Bersani sarebbe in grado di stendere definitivamente quello che resta dell’opposizione proprio nel momento in cui il Governo è in estrema difficoltà.
Io credo che per lavorare ad avere una nuova classe dirigente, non ricattabile possibilmente, sia necessario togliere ai tappi, che impediscono il cambiamento, il ricambio interno dei partiti e il ricambio anche tra forze politiche e impediscono l’ascesa mediatica e quindi anche elettorale di nuove forze e di nuovi movimenti politici, ci siano da un lato il sistema di finanziamento dei partiti, chi tiene la borsa del finanziamento dei partiti, cioè la segreteria e la segreteria amministrativa tiene in pugno i partiti, e impedisce a quelli che potrebbero venire dal basso di insidiarli e di cacciarli fuori. Dall’altro dato la legge elettorale, che consegna ai segretari dei partiti l’altro rubinetto: da un lato tengono in mano il rubinetto dei soldi e dall’altro lato tengono in mano il rubinetto delle nomine al Parlamento, perché se uno vuole andare in Parlamento oggi deve essere nominato dal suo segretario di partito con questa legge elettorale. Ecco perché tornano buoni, i V-Day, tornano buoni i referendum, tornano buone le leggi di iniziativa popolare, una per abrogare - questo sarà più difficile - il finanziamento pubblico ai partiti, così come oggi camuffato da rimborsi elettorali, a prescindere dalle spese elettorali tra l’altro; e dall’altro, cosa più fattibile, staccare l’altro rubinetto che hanno in mano questi signori, eterni e ricattabili, e cioè il potere di nominare i parlamentari. C’è un referendum - Arturo Parisi, Antonio Di Pietro, Prodi ha aderito e altri, io spero che lo facciano in tanti - referendum che si propone di abrogare il ‘porcellum’, cioè la legge elettorale Calderoli, la porcata, quella che fa nominare i parlamentari dai partiti anziché farli scegliere dai cittadini. Il referendum se raccogliesse le firme entro la fine di settembre le 500 mila firme fatidiche e si ottenesse poi l’avallo della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, avrebbe come conseguenza il ritorno al ‘mattarellum’. Io non sono un tifoso della legge elettorale ‘mattarellum’ sulla quale abbiamo votato dal ‘94 al 2001, ma almeno ci consentiva di scegliere nei collegi elettorali il nostro candidato preferito tra quelli dei due schieramenti. Non è una legge perfetta, anzi io preferirei il sistema francese a doppio turno che ha dunque le primarie incorporate nel primo turno, il primo turno voti il candidato a te più vicino e nel secondo scegli fra i due più votati quello a te meno lontano. Ma questa non è all’ordine del giorno, piuttosto che andare a votare un’altra volta con il ‘porcellum’ di Calderoli meglio tornare a una legge che almeno ci consentiva di scrivere tra due o più candidati nel collegio quali erano i nostri preferiti, per il 75% della quota maggioritaria del Parlamento italiano. Meglio che niente rispetto alla porcheria che abbiamo.

Ecco, sappiate che se firmate per quel referendum, oltre naturalmente ad agevolare il fatto che alle prossime elezioni si possa tornare a scegliere i nostri rappresentanti, seppure con quel meccanismo del ‘mattarellum’ che non era proprio l’ideale, si toglie in mano ai segretari dei partiti, che non si muovono di lì, il rubinetto della nomina dei parlamentari, che è la vera ragione insieme al finanziamento pubblico, per la quale siamo sempre ogni giorno, da venti, trent’anni nelle mani delle stesse facce. Passate parola e possibilmente firmate.

Marco Travaglio (Passaparola del 29 agosto 2011)

mercoledì 24 agosto 2011

Scoperto il gene che 'cancella' dalla memoria i brutti ricordi

Un brutto ricordo che assilla e rende ogni cosa difficile. Un'esperienza traumatica che continua a tornare in mente. Appare anche nei sogni, senza darci pace. L'idea di poter dimenticare tutto sembra impossibile. Non è così: un gruppo di ricercatori del Queensland Brain Institute di Saint Lucia, in Australia, ha fatto una scoperta 1che potrebbe essere utile per far sparire, come per magia, pensieri negativi e difficoltà. La notizia è stata pubblicata dal giornale Nature 2Neuroscience. La scoperta promette di curare fobie e disturbi da stress post-traumatico.

Gli studiosi hanno identificato una molecola di Rna, il mir-128b, che agisce direttamente su un gene e che regola i ricordi legati alla paura. Nel momento in cui viene riattivato il ricordo originale a cui è legata la paura, il mir-128b può inibire in modo transitorio i geni ad esso associati. "I ricordi associati alla paura non sono incisi nella roccia", spiega Timothy Bredy, neuroscienziato del Queensland brain institute.

Bredy è riuscito a dimostrare per la prima volta che le paure possono essere cancellate grazie all'azione di questo polimero ed è convinto che questo studio potrà aprire la strada a nuove cure per affrontare i disturbi post traumatici da stress e fobie. "Questa è la prima dimostrazione concreta che la molecola di Rna contribuisce alla formazione di tutte quelle paure che fanno parte della nostra memoria. Siamo riusciti a mettere in evidenza quanto questo meccanismo sia al centro del funzionamento del cervello negli adulti", ha detto Bredy.

Insomma per il team di studiosi australiani le paure che fanno parte del nostro passato possono essere "indebolite" o "rafforzate", intervenendo sul mir-128b.

Studi precedenti. Quello che nel film "Se mi lasci di cancello" sembrava un sogno, dova Jim Carrey cercava di dimenticare l'amore perduto, non sembra così più lontano. Già un anno fa una ricerca della John Hopkins University 3aveva aperto prospettive concrete sulla nascita di farmaci in grado di combattere i disturbi da stress post-traumatico. I ricercatori avevano studiato una proteina che si trova nell'amigdala, l'area cerebrale responsabile, tra l'altro, del condizionamento alla paura.

Ricerche di questo tipo aprono la strada allo studio di farmaci usati per manipolare la memoria, un settore che spesso genera timori. Ma secondo Adam Kolber, docente di legge alla Law School di Brooklyn, a New York e autore di un commento appena pubblicato su Nature, si tratta di pregiudizi esagerati. "Milioni di persone che soffrono di disordine da stress post-traumatico (Ptsd), dopo un'esperienza straziante o un incidente - sostiene Kobler - potrebbero beneficiare di psicofarmaci che possono liberare il cervello dai brutti ricordi".

I farmaci. Kobler sottolinea la necessità di un atteggiamento più aperto verso lo sviluppo e l'uso di farmaci che possano essere in grado di alterare i ricordi, superando le riserve espresse da molti eticisti, che temono che in questo modo si possano alterare la personalità delle persone.

"Questi argomenti - sostiene invece Kolber - non sono convincenti. I farmaci possono accelerare il processo di guarigione in modo più efficace rispetto al counselling". Guardando ai più recenti studi di laboratorio, gli esempi non mancano: un farmaco chiamato 'Zip' ha dimostrato di bloccare la dipendenza da cocaina nei topi, cancellando il ricordo del luogo dove potevano trovarla. E "altri farmaci già testati sull'uomo - conclude Kobler - possono alleviare la sofferenza legata a ricordi di eventi traumatici".

Valeria Pini (La Repubblica - 20 agosto 2011)

martedì 23 agosto 2011

Il vero deficit è dei valori

In un articolo pubblicato sul Corriere il 17 agosto (Il vero disavanzo delle democrazie) il settantenne Ernesto Galli della Loggia, docente di Storia contemporanea all’Università Vita-Salute del San Raffaele (curiosa parabola per uno che era partito comunista e si è scoperto, al momento opportuno, liberale e forse anche pio), storico che non ha mai scritto un libro di storia, risvegliandosi da un letargo durato quasi mezzo secolo, da quando era un giovane e promettente collaboratore dell’Einaudi, scopre che il deficit dei sistemi democratici sta nella loro mancanza di valori o, per usare il suo linguaggio contorto, nella loro “unidimensionalità economicista”. Geniale.

Nel mio spettacolo teatrale del 2004 Cirano, se vi pare… dicevo: “La democrazia è un metodo, un sistema di forme e di procedure, non è un valore in sé e non produce valori. È un contenitore, un sacco vuoto che andrebbe riempito. Ma il pensiero e la pratica liberale e laica, che sono il substrato sul quale la democrazia è nata, mentre facevano ‘tabula rasa’ dei valori precedenti, non sono stati in grado, in due secoli, di riempire questo vuoto se non con contenuti quantitativi e mercantili”. In realtà nella pièce riprendevo concetti espressi quasi un quarto di secolo prima ne La Ragione aveva Torto? e ribadite poi in Denaro. Sterco del demonio (1998), nel Vizio oscuro dell’Occidente. Manifesto dell’Antimodernità (2002) e in Sudditi. Manifesto contro la Democrazia (2004).

In realtà la democrazia, almeno così come si è storicamente determinata, non è che l’involucro legittimante del modello di sviluppo basato sul mercato. E il mercato, che è uno scambio di oggetti inerti, non può produrre valori, né laici né di qualsiasi altro tipo. L’unica divinità veramente condivisa è il Dio Quattrino. E la vera debolezza dell’Occidente democratico (in questo Della Loggia ha ragione, anche se arriva fuori tempo massimo), lo vediamo in rapporto con altre culture, Islam in testa, proprio in questo vuoto di valori.

Bisogna aggiungere che la democrazia, perlomeno quella rappresentativa, non solo non aiuta a costruire valori condivisi, ma sembra il sistema perfetto per demolirli. La liberal-democrazia si è infatti venuta strutturando, contro le intenzioni dei suoi padri fondatori (Stuart Mill, John Locke, Alexis de Tocqueville), come un sistema di partiti in competizione fra di loro. I partiti per conquistare consensi hanno bisogno di apparati (il voto di opinione, secondo lo stesso Norberto Bobbio, gran studioso e strenuo difensore della democrazia, “è solo quello di coloro che non votano”). Per mantenere gli apparati hanno bisogno di soldi, per procurarseli li drenano illegalmente dal settore pubblico, di cui si sono impossessati, o da quello privato tenendo l’imprenditoria sotto ricatto (o mi dai la tangente o non vincerai mai un appalto). Essendo abituati a corrompere o a farsi corrompere per superiori esigenze di partito, i dirigenti politici diventano, quasi sempre, dei corrotti in nome proprio. Questa corruzione pubblica trascina fatalmente con sé i cittadini (se rubano loro perché non dovrei farlo anch’io?) spazzando così via tutta una serie di valori, onestà, lealtà, dignità, che tengono insieme una comunità.

A ciò si aggiunge che i partiti, pur di non scontentare i rispettivi elettorati, perdono completamente di vista l’interesse nazionale. E questo non è un vizio solo italiano se in America, Paese che deve le sue passate fortune a un fortissimo senso di appartenenza nazionale, repubblicani e democratici si stanno scannando da mesi mentre il loro Impero rischia di crollargli sotto i piedi. Per cui sento di poter dire che l’attuale crisi economica non è solo il segno del fallimento di un modello di sviluppo ma anche del suo involucro legittimante: la democrazia.

Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 20 agosto 2011)

Passaparola: "Rimini, il meeting dei detassati"

Testo:

Buongiorno a tutti, bentornati, ben ritrovati dopo questo periodo di vacanza, almeno da parte mia, spero anche da parte di molti di voi.

Le mani nelle tasche degli italiani ladri - Sono successe molte cose, nel frattempo, oggi vorrei parlare, per quel poco che ne capisco, di manovra economica Nella giornata nella quale si festeggia la caduta di un tiranno, Gheddafi, beati libici, speriamo che presto tocchi al nostro Gheddafi, quello che baciava il Gheddafi libico fino a pochi mesi prima dell'inizio della rivolta.
Ieri poi il Presidente della Repubblica Napolitano, scamiciato, si è recato al Meeting di Rimini a benedire quest'aria di nuovo inciucio con tutti gli uomini delle banche, delle aziende statali e parastatali in prima fila, che poi sono gli sponsor del Meeting di Rimini e che si spellavano le mani essendo fra i protagonisti del disastro, non solo della finanza a causa della speculazione, ma anche dell'economia reale del nostro Paese.
C'era persino Marchionne, questo genio dell'industria che purtroppo non riesce a vendere le macchine e disgraziatamente è responsabile di un'azienda che fino a prova contraria si chiama Fabbrica Italiana Automobili Torino.
Il Presidente della Repubblica, come se fosse un marziano sceso in terra all'improvviso da pochi giorni, ha ammonito, tra le ovazione dei ciellini che hanno sempre applaudito in questi ultimi vent'anni chiunque gli venisse portato, se gli portavano Jack lo Squartatore lo applaudivano, quindi figuriamoci Napolitano non è certamente Jack Lo Squartatore né qualcosa di paragonabile ma per dire che hanno applaudito comunisti, anticomunisti, filoisraeliani, filoarabi, cattolici, atei... l'importante è che andassero a rendere omaggio e a baciare la sacra pantofola ciellina. “Da quando l'Italia e il suo debito pubblico sono stati investiti da una dura crisi di fiducia e da pesanti scosse e rischi sui mercati finanziari, siamo immersi in un angoscioso presente – dice il Capo dello Stato sceso da Marte, appunto – nell'ansia del giorno dopo, in un'obbligata e concitata ricerca di risposte urgenti.” Poi fendenti al governo, all'opposizione, “a simili condizionamenti e al dovere di decisioni immediate, non si può naturalmente sfuggire, ma non troveremo vie d'uscita soddisfacenti e durevoli, senza rivolgere la mente al passato e lo sguardo al futuro”.
Applausi, Conti, Passera, Marchionne, Enrico Letta, Maurizio Lupi ecc. ecc., la ministra Bernini, poveretta. “Dinanzi a fatti così inquietanti, davanti a crisi gravi, bisogna parlare il linguaggio della verità – ha insistito il nostro marziano Napolitano – il linguaggio della verità non induce al pessimismo ma sollecita a reagire con coraggio e lungimiranza.” Applausi scroscianti, ovazioni, gente che si strappava i capelli. “Abbiamo noi in Italia parlato in questi tre anni il linguaggio della verità? Abbiamo fatto abbastanza tutti noi che abbiamo responsabilità verso le famiglie e nei rapporti con le giovani generazioni? Stiamo attenti: dare fiducia non significa alimentare illusioni. Non si dà fiducia e non si suscitano le reazioni necessarie minimizzando, sdrammatizzando, i nodi critici della realtà ma guardandovi in faccia con intelligenza e con coraggio”.
Forse se l'avesse detto tre anni fa, quando Berlusconi negava la crisi, anzi sosteneva che era colpa di Annozero, che se Santoro non ne avesse parlato la crisi non ci sarebbe stata... ecco forse dirle tre anni fa, queste cose, al governo, forse evitare di firmare qualche legge vergogna e sollecitare qualche legge che venisse incontro ai pericoli che la crisi costituiva per il nostro Paese, forse sarebbe stato più produttivo che non andare a piangere sul latte versato, anzi peggio, a fare il mea culpa battendo il petto degli altri, anziché il proprio.
Perché Napolitano non è arrivato da Marte, naturalmente, Napolitano è in politica da diciamo sessant'anni, per essere avari? E' stato Presidente della Camera, è stato uno dei maggiori dirigenti del PCI, poi del PDS, poi dei DS. E' il Presidente della Repubblica mica da ieri, da cinque anni.
Ha sottoscritto, con il suo avallo, tutte le leggi che sono state varate in questi anni, ha nominato tutti i ministri che sono responsabili di quell'avere diffuso illusioni che ha denunciato ieri, ha messo la sua firma sotto la nomina della squadra di governo che oggi i mercati ma anche i cittadini dotati di un minimo di raziocinio, ritengono inaffidabile.
Ogni tanto ha fatto un po' la faccia storta, tipo quando gli hanno sottoposto il ministro Romano, indagato per mafia, oggi Romano è praticamente imputato perché il GIP ha ordinato l'imputazione coatta alla Procura della Repubblica che ha chiesto il rinvio a giudizio, quindi Romano ministro delle risorse agricole è imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, e partecipa ai vertici per risolvere la crisi e per fare la manovra, partecipa a scrivere la manovra, dà consigli, interviste, siede al tavolo coi sindacati, insieme agli altri ministri economici.
Quella nomina non spetta al Presidente del Consiglio, ma al Capo dello Stato. Il presidente del Consiglio indica dei nomi e il Capo dello Stato può nominarli oppure può rimandarli indietro.
Non risulta che sia stato rimandato indietro e non risulta che quella nomina sia stata revocata nel momento in cui, addirittura, il ministro, primo caso nella storia pur disgraziata del nostro Paese, un ministro in carica viene imputato di mafia.
Quindi, meno male che Napolitano ha scoperto il debito pubblico, l'evasione fiscale. Lo scudo fiscale secondo voi chi lo ha formato, quando è stato presentato come decreto nel 2009, il secondo anno del terzo governo Berlusconi? L'ha firmato Napolitano. Il Fatto Quotidiano, appena nato, fece una petizione, raccolse 50.000 o 60.000 firme per chiedere al Presidente della Repubblica di non firmare lo scudo fiscale. Fu firmato e adesso lo stesso che ha firmato lo scudo fiscale ci viene a dire che c'è un problema di evasione fiscale? Lo sappiamo, hai firmato lo scudo!
E ancora: il debito pubblico. Il debito pubblico non è mica il peccato originale, non ce lo portiamo mica dalla nascita. Il debito pubblico nasce con certe politiche, negli anni '80, le politiche di Craxi, Andreotti, Forlani e di quelli che sostenevano il Craxismo. Chi era il leader della corrente del Partito Comunista che voleva fare l'alleanza con Craxi? Napolitano. Chi è che attaccò Berlinguer quando parlò di questione morale facendo infuriare Craxi che ovviamente se ne sentiva toccato? Napolitano, il capo dei miglioristi filosocialisti e filocraxiani. Quindi, forse, il petto sarebbe bene ciascuno cominciasse a batterlo su di sé e non sugli altri.
Ma, detto questo, la manovra sta approdando in Parlamento e praticamente del decreto che è stato varato dal Governo con la firma di Napolitano i giorni della burrasca finanziaria poco prima di ferragosto, non c'è più traccia. Quasi tutti i capisaldi di quella manovra stanno saltando perché coloro che li avevano fissati si sono nel frattempo pentiti di fronte all'impopolarità delle misure che avevano adottato. Per cui, la supertassa per chi dichiara oltre i 90.000 euro pare che Berlusconi non la voglia più mettere, i tagli dei comuni, dei piccoli comuni, pare che la Lega non li voglia più, il sacrificio delle famose 38-39 provincie si sta riducendo a lumicino perché è rinviato a quando ci sarà un nuovo censimento e nel frattempo le provincie stanno cercando accorpamenti per salvarsi quasi tutte. I sacrifici chiesti agli Statali, ovviamente, fanno perdere altri voti e quindi si cerca di limarli, e così vengono fuori nuove proposte.
Anticipare la riforma delle pensioni che allunga l'età pensionabile e che era prevista per circa fra dieci anni, oppure abolire tutte le provincie anziché soltanto qualcuna, oppure ritassare con un contributo di solidarietà, i capitali che sono rientrati grazie allo scudo fiscale ma i cui titolari hanno dovuto pagare, due anni fa, quel misero 5% che comunque era già un enormità rispetto al precedente del 2002 dove addirittura si fecero i capitali sporchi o evasi dall'estero pagando il 2,5%.
Tutte proposte di cui si parla sui giornali per fare un gran casino, ma che non hanno nessuna possibilità di essere varate perché sono quelle giuste. Alzare l'età pensionabile in un Paese sempre più vecchio che ha l'età pensionabile più bassa d'Europa è evidente che è da fare subito, non fra dieci anni, escludendo ovviamente i lavori usuranti, ci mancherebbe altro, ma il problema nostro sono le pensioni baby, vecchio serbatoio di clientelismo insieme a quelle false di invalidità.
L'abolizione di tutte le provincie... come si fa ad abolire i piccoli comuni? Sono il cuore pulsante dell'Italia delle famose cento città: questi pur di non abolire le provincie voglio abolire i piccoli comuni, che ovviamente sono in rivolta non per mantenere le cadreghe perché nei piccoli comuni gli emolumenti sono pari a quasi zero, non si risparmierebbe quasi nulla nei tagli alla casta che erano auspicati, mentre tagliando le provincie si risparmierebbero strutturalmente ogni anno chi dice 13, chi dice 15, chi di più miliardi di euro all'anno.
E chiedendo un altro contributo ai titolari dei capitali scudati ad appena il 5% si guadagnerebbero un sacco di soldi. Si tratta semplicemente di scegliere se mettere le mani nelle tasche degli onesti o metterle nelle tasche dei disonesti.
C'è un fortunato slogan del Cavaliere che lo ripete come un mantra da 17 anni: “noi non mettiamo le mani nelle tasche degli Italiani” come se ci fosse qualcosa di male nel fatto che lo Stato chiede ai cittadini di contribuire in proporzione a quello che hanno al bene pubblico, anche al bene dei medesimi che contribuiscono.
Il compianto Padoa Schioppa disse: “il concetto delle tasse è bellissimo” perché chi ha di più contribuisce di più, questa è educazione civica. Non disse le tasse sono bellissime per come sono organizzate iniquamente in Italia, disse il concetto di tassa, di imposta è bellissimo, quello sul quale si fonda uno Stato, una comunità. Mettere le mani delle tasche degli italiani è un dovere dello Stato, non è una rapina. Berlusconi ci ha fatto credere che sia una rapina perché nel suo retropensiero mettere le mani nelle tasche degli italiani significa fare una cosa equa e le cose eque a lui non piacciono, perché lui non vuole mettere le mani nelle tasche dei ladri, degli evasori, perché lui e le sue aziende sono celebri per avere più volte eluso o addirittura evaso le tasse, vedi tutti i condoni che hanno fatto e vedi la legge per Mondadori che l'hanno scorso ha potuto chiudere pagando 8 milioni di euro un contenzioso con l'agenzia delle entrate che durava da vent'anni e che di euro gliene chiedeva 176 milioni, non 8.
Senza contare un altro contenzioso che Berlusconi ha con Mediolanum con l'agenzia delle entrate e la guardia di finanza che gli chiedono 282 milioni di tasse in più di quelle che hanno pagato sostenendo che hanno esterovestito delle attività trasferendole su una società irlandese, trasferendo attività in Irlanda, dove la tassazione è evidentemente più vantaggiosa.
Questo è quello che pensa lui quando dice “non metteremo le mani nelle tasche degli italiani”. Se esistesse un'opposizione dovrebbe controbattere dicendo “Noi vogliamo che metti le mani nelle tasche degli italiani ladri. Questo devi fare. Mettere le mani nelle tasche degli italiani ladri”. E come si fa? E' semplicissimo.
Si va a vedere quanti soldi guadagnano i ladri, parlo dei ladri naturalmente che si macchiano di reati finanziari ed economici, noi dei ladruncoli da strada. I ladruncoli da strada vanno messi in galera come tutti i grandi ladri, ma mentre contro il furto per le strade non c'è altro modo se non quello di acchiappare i ladri e di migliorare le attività repressive e punitive o anche preventive, contro i grandi ladri ci sono molte cose da fare perché in questi anni sono state fatte leggi che li hanno favoriti, quindi vanno smantellate e vanno come sempre si fa quando c'è un'emergenza criminale aumentate le pene. Quando c'è l'emergenza incendi si aumentano le pene per quelli che incendiano i boschi, quando c'è l'emergenza stupri si aumentano le pene per gli stupratori, quando c'è l'emergenza furti si aumentano le pene per i ladri. Il ladro che ruba il portafoglio o che svaligia l'appartamento può essere condannato a pene che arrivano fino a vent'anni di reclusione. Uno che ruba falsificando i bilanci o facendosi corrompere o evadendo il fisco rischia in concreto pene di un anno e mezzo, due anni, due anni e mezzo. Tutte esenti da carcere, sia preventivo sia dopo la sentenza. Che effetto deterrente possono avere pene del genere? E' evidente che come si fa per i piromani, per gli stupratori, per i ladri di strada, per gli immigrati che delinquono anche soltanto immigrando, bisogna aumentare le pene.
E noi abbiamo fatto una proposta, lo scorso anno sul Fatto Quotidiano, per un'organica legge anticorruzione che copriva anche altri tipi di reati finanziari.
Primo: ratificare finalmente la convenzione penale del Consiglio D'Europa del 1999 sottoscritta anche dal nostro Paese come da tutti gli Stati membri e mai ratificata dal nostro Parlamento. Perché non la vogliono ratificare? Mica perché se ne dimenticano, perché contiene degli impegni di punire severamente anche dei reati che in Italia non sono previsti come reati, e che sono diffusissimi. Sono i reati delle cricche: traffico di influenze illecite, autoriciclaggio, corruzione fra privati.
Oggi in Italia se il capo dell'ufficio acquisti di un'azienda privata prende le stecche dal fornitore per dare sempre a lui le forniture così la sua aziende ci rimette perché prende le forniture non dall'azienda più conveniente ma da quella che paga le mazzette al capo ufficio acquisti, visto che tutto si svolge all'interno di un'area privata non è punibile. In altri Paesi sì, per questo negli altri Paesi le aziende vanno mediamente meglio che le nostre: anche per questo.
Da noi non è reato l'autoriciclaggio: io commetto un reato, intasco il bottino, mi riciclo da solo il bottino, me lo ripulisco, me lo lavo con attività di riciclaggio, se il riciclaggio della refurtiva mia lo faccio io non è reato, se invece me lo fa un altro è reato di riciclaggio. Vi sembra normale una cosa del genere? Vi sembra normale che uno che ricicla una tangente che ha ricevuto non risponde di autoriciclaggio? Vi pare normale che uno che ricicla i proventi delle sue evasioni fiscali non risponda di autoriciclaggio, mentre se lo fa fare a un altro quell'altro ne risponde? E' una follia. Noi non abbiamo l'autoriciclaggio, pensate l'autoriciclaggio mafioso: i mafiosi che si riciclano in attività lecite i proventi del traffico di droga o delle estorsioni, del pizzo o di altri traffici da armi a rifiuti tossici. Se lo fanno in proprio è autoriciclaggio e in Italia non è punito. Non ratifichiamo la convenzione e non puniamo l'autoriciclaggio da 12 anni, nel frattempo son passate maggioranze di destra e sinistra. Era il 1999 quando gli Stati Membri del Consiglio d'Europa hanno approvato quella convenzione, persino il Vaticano e la Russia hanno ratificato la convenzione di anticorruzione, noi no
Allo stesso modo il traffico di influenze illecite: quando uno spendendo il proprio nome e il proprio potere promette di intervenire a vantaggio di questo e di quello, per favorirlo. Anche questo non è reato in Italia, il traffico di influenze illecite è reato in tutti i Paesi seri.
Questa è la prima cosa da fare, la seconda è ripristinare il reato di falso in bilancio, che ora è una burletta, impunibile e improcessabile dal 2002.
Terzo riformare la prescrizione, che falcidia soprattutto i processi ai ricchi che hanno avvocati importanti e possono pagarli anche per molti anni pur di ottenere l'impunità alla fine. La prescrizione deve fermarsi al momento della richiesta del rinvio a giudizio: quando il PM esercita l'azione penale niente più prescrizione. Il processo se inizia finisce, così non c'è più aspettativa di farla franca.
Perché uno dovrebbe aspettare vent'anni per essere condannato se è colpevole? Nel frattempo paga le parcelle dell'avvocato, tanto vale patteggiare subito, restituire il maltolto, prendere qualche sconto di pena e levarsi dalle palle.
Rilanciare di nuovo le proposte che la commissione Mastella. L'unica cosa che ha fatto di buono nella sua vita quand'era ministro della giustizia fu una commissione per una giustizia che si autofinanziasse, recuperando più facilmente il bottino dei vari reati e rimettendolo in circolazione per il migliore funzionamento della giustizia, per pagare i poliziotti, le intercettazioni, gli agenti penitenziari, per costruire nuove carceri. Una giustizia che si autofinanzia recuperando il bottino dei reati che riesce a scoprire e a perseguire. In questa commissione c'erano teste come Davigo, Greco, i magistrati di Mani Pulite. Avevano messo anche una proposta interessantissima: se fai ricorso in appello e in cassazione e si scopre che il tuo ricorso era infondato e l'hai presentato solo per perdere tempo e arrivare alla prescrizione, ci deve essere un filtro, ci devi rimettere qualcosa se fai appello pretestuosamente per perdere tempo e far spendere soldi e tempo alla giustizia. Cauzione. Fai appello, metti una cauzione; se ti danno ragione o si stabilisce che c'erano elementi perché tu presentassi appello o ricorso allora la cauzione te la riprendi. Se il giudice stabilisce che l'appello non stava né in cielo né in terra la cauzione la incamera la giustizia e la usa per funzionare meglio.
Queste sono proposte da recuperare perché fanno recuperare soldi, un sacco di soldi.
Pensate soltanto al fatto che in Italia ogni anno ci sono 80.000 ricorsi in Cassazione. Pensate se si mettesse una cauzione per ogni ricorso in Cassazione di 10 euro: sarebbero 800.000 euro all'anno che lo Stato incasserebbe. Se la cauzione fosse di 50 euro lo Stato incasserebbe 50 per 80.000... sarebbero addirittura 4 milioni di euro all'anno. Pensate quanti soldi. Tenete presente, per dare un parametro, che ogni anno le intercettazioni, tutte le intercettazioni che si fanno in Italia, costano circa 200 massimo 300 milioni di euro. Pensate soltanto con le cauzioni si finanzierebbero tutte le intercettazioni.
Quinto: riformare i reati fiscali con una legislazione all'americana. Triplicare le pene che oggi sono irrisorie. Pensate che il reato fiscale oggi è di due tipi: quello più diffuso che è la dichiarazione infedele prevede una pena massima di 3 anni, che in concreto si risolve in pochi mesi, in pochi giorni con tutti gli sconti e le attenuanti.
Il reato più raro, più difficile da commettere, la frode fiscale, prevede una pena massima di 6 anni. Il furto aggravato fino a vent'anni.
Quanti soldi può rubare uno con un furto aggravato? 20 anni di galera, pena massima.
Rispetto a uno che evade le tasse, 6 anni di pena massima con la frode fiscale, 3 anni con la dichiarazione infedele. Attenzione, perché questi sono reati, penalmente perseguibili, solo sopra le soglie di non punibilità istituite dal centrosinistra, una enorme area di franchigia per gli evasori che sotto le soglie non vanno in tribunali, ma risolvono davanti alle commissioni tributarie in via amministrative con multine che nessuno paga.
Sapete quanto sono le soglie? Perché sia reato la frode fiscale de superare i 50.000 euro di imposta evasa, cioè uno deve guadagnare più di 100.000 euro e non pagare una lira di quei 50.000 euro che dovrebbe pagare. Mentre per la dichiarazione infedele bisogna superare i 100.000 euro perché sia reato, guadagnandone tipo 200.000 e non pagando una lira. Voi capire che è quasi impossibile, lo fanno in pochissimi. Di solito si evade poco per volta oppure si evade soltanto una parte di quello che si è guadagnato. L'evasore totale non è così frequente, perché è più facile prenderlo.
Si è stabilito un meccanismo tale per cui è impossibile o quasi finire sotto processo e se si finisce sotto processo è quasi impossibile finire in galera, essere condannati in tempo prima che scatti la prescrizione, visto che tra l'altro gli accertamenti sulle dichiarazioni dei redditi vengono fatti due anni dopo, quindi quando il reato viene scoperto la prescrizione ha già cominciato a galoppare da due anni, quando inizia il processo è tutto prescritto. Ecco perché è così conveniente evadere, ecco perché evadono così tanti. Triplicando le pene e aumentando gli accertamenti ed abolendo le soglie di non punibilità è evidente che l'effetto deterrente sarebbe maggiore. Vedremmo gli evasori entrare in galera a frotte come negli Stati Uniti, dove ci sono interi penitenziari pieni di gente che ha evaso le tasse e va in giro in tuta arancione e le catene ai piedi, e gli passa la voglia, a molti almeno.
Queste sono le cose da fare, queste sarebbero le cose da fare per mettere le mani nelle tasche dei ladri e non dei cittadini onesti.

Ritassare i capitali dello scudo fiscale - Poi c'è un ultimo particolare che ho accennato prima ed è la ritassazione dei capitali scudati. Perché ne parlo? Perché c'è un sacco di gente che ha letto i giornali o ha sentito in televisione alcuni soloni sostenere che non si può ritassare quei capitali perché lo Stato aveva fatto un patto con quegli evasori, gli aveva detto “se fai rientrare ti lascio anonimo, non ti chiedo come ti chiami, tu nella banca o nella finanziaria dove porti indietro i capitali lasci un pizzo del 5% sull'ammontare complessivo del capitale, il mediatore ti rilascia una dichiarazione che tu userai nel caso in cui ti venga un accertamento su quel capitale”.Adesso come fai a dire “ti chiedo un altro 15%”? Vìoli il patto. Vero, in un certo senso. Perché, invece agli statali a cui vengono bloccati i TFR non si vìola il patto? Quando hanno cominciato a versare i loro contributi per la pensione e quando hanno cominciato le loro aziende ad accantonare i loro TFR, chi gliel'aveva detto che poi gli sarebbe stato dato con ritardo e a rate? E se avevano programmato di comprare casa per il figlio e nel frattempo non ha i soldi per comprarsela e deve sposarsi, per esempio? Non è una violazione del patto? Solo che lì si vìola il patto con una persona onesta, e dall'altro si vìola tra virgolette il patto con un delinquente che ha evaso e che se l'è cavata pagando non l'aliquota massima del 43% ma quella minima del 5%.
Se patto si deve violare, meglio violarlo coi delinquenti che violarlo con le persone perbene, tanto per fare un esempio.
Ma non è vero nemmeno che si vìola il patto, e quindi non è vero che la norma è retroattiva quindi incostituzionale.
Lo spiega molto bene Maria Cecilia Guerra, economista che scrive sul sito lavoce.info che ha smontato tutte le obiezioni giuridiche alla proposta che ci porterebbe, voi capite, una vagonata di soldi, perché con lo scudo del 2009, poi prorogato nel 2010, sono rientrati circa 100 miliardi di euro di capitali. Lo Stato quanto ha incassato, rispetto ai 43 miliardi che avrebbe dovuto incassare più o meno con l'aliquota massima? Solo 5. Basterebbe tassarli di un altro 15% per incassare 15 miliardi, e comunque gli evasori pagherebbero, prima il 5 poi il 15 un totale del 20% cioè meno della metà di quello che avrebbero dovuto pagare se non fossero evasori, ci guadagnerebbero a strafottere, altro che lamentarsi per la violazione del patto.
“Non si svelerebbero i nomi degli evasori e non si violerebbe alcuno patto tra Stato e cittadini” sostiene la Guerra. Intanto basta presentarla come un contributo di solidarietà da richiedere a persone che noi sappiamo che ne hanno la possibilità, perché hanno fatto rientrare quei capitali.
E quindi gli chiediamo un contributo di solidarietà una tantum perché ci serve, per un anno per esempio. Per quest'anno. Quindici miliardi lì sul tavolo, voi capite che è un terzo della manovra, almeno di quella che hanno dichiarato di voler fare che è sui 40-45 miliardi, anche se poi è come la maglia bernarda che si allunga e si allarga, un terzo sarebbe già lì pronto.
Dopodiché basterebbe tagliare le provincie e avremmo l'altro terzo, dopodiché si potrebbe cominciare a mettere all'asta le frequenze televisive per i concessionari invece di regalarle ai soliti noti come vogliono fare con il trucchetto del beauty contest. Andate a cercare la proposta del PD e dell'IDV sull'asta delle frequenze che mi pare positiva e che farebbe guadagnare un altro sacco di soldi, per non parlare di quanti ne guadagneremmo, credo quattro, anticipando subito la riforma delle pensioni per non parlare di quello che guadagneremmo subito se si costringesse il Vaticano a pagare l'ICI almeno sui suoi alberghi e sulle sue attività commerciali. Nessuno vuole perseguitare la Chiesa, nessuno vuol fare anticlericarismo spicciolo, nessuno vuole negare i meriti che ha la Chiesa nel campo dell'assistenza e della solidarietà che vanno spesso a sopperire le mancanze dello Stato. Però se hai un ostello, se hai un albergo, se hai un'attività commerciale paghi l'ICI come tutti gli altri. Fai i sacrifici anche tu, come tutti gli altri.
E la manovra sarebbe fatta senza mettere un dito nelle tasche dei lavoratori onesti. Un dito.
Dice la Guerra: “Una nuova imposizione sui patrimoni illecitamente detenuti all’estero – regolarizzati con lo scudo del 2009-2010 in cambio di un’imposta “leggera” del 5 per cento – rappresenterebbe una vera inversione a U rispetto alle politiche fiscali del centrodestra. E, una volta tanto, ribalterebbe sui “furbi” parte dei pesanti sacrifici richiesti dalla manovra correttiva. Da più parti, però, vengono sollevate obiezioni sulla fattibilità dell’intervento. Che non sarebbe “costituzionale”, in quanto retroattivo; che romperebbe il “patto di fiducia” tra Stato e cittadini; che infrangerebbe la garanzia di anonimato offerta in cambio del rientro dei fondi (peraltro rimasti in buona parte all’estero). “Tassare nuovamente i capitali scudati sarebbe un’ipotesi legalmente non praticabile”, sostiene la Fodazione Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo, perché romperebbe “un patto, per quanto sbagliato, con i contribuenti” ”.
Naturalmente l'hanno ripetuto subito La Russa e i liberal del PD come Franco De Benedetti e Nicola Rossi. Tutte stronzate.
“Una nuova imposta del 18 per cento sui capitali scudati – in modo che la tassazione totale arrivi al 23 per cento, il primo scaglione Irpef – porterebbe nelle casse dello Stato ben 18 miliardi di euro, quasi l’intera manovra per il 2012. E potrebbe avere un ampio sostegno nel prossimo dibattito parlamentare sulla manovra. Pd e Idv la sostengono a spada tratta, ed è arrivato l’apprezzamento del leghista Flavio Tosi, che si è detto “favorevolissimo”, così come Carmelo Briguglio di Fli. Prima di accantonarla per presunte difficoltà insormontabili, allora, vale davvero la pena di vederci chiaro. Innanzitutto, anche con la nuova imposta è possibile rispettare l’anonimato garantito a chi ha aderito allo scudo fiscale”, spiega Maria Cecilia Guerra. “L’imposta può essere riscossa dagli intermediari finanziari che all’epoca hanno curato le pratiche per conto dei loro clienti, e che certamente ne conservano i documenti. Le carte dello scudo, infatti, possono essere opposte a eventuali accertamenti fiscali.”
E' la banca che ha ricevuto i capitali che dice: “Lo Stato mi incarica di prelevarti un altro 18%” La banca l'anticipa e si rivale su cliente, se lo stabilisce la legge si può fare.
“Non si tratterebbe neppure di una tassazione retroattiva” perché chiedi un nuovo contribuiti sui capitali che sai che sono stati depositati.
“L’adesione allo scudo può essere considerata semplicemente un indicatore di buone disponibilità patrimoniali - Io so che quei soldi li hai e su quelli ti chiedo il 18% - sulla base del quale si chiede al contribuente un ulteriore versamento.” Non c'è niente di retroattivo, te lo chiedo oggi per domani.
”La manovra contiene già il contributo di solidarietà sui redditi Irpef e l’addizionale Ires per le imprese energetiche, queste sì retroattive visto che vanno a toccare anche i redditi prodotti quest’anno, prima della manovra di agosto. Perché allora lo Stato dovrebbe farsi degli scrupoli in più per patrimoni frutto di evasione o peggio?”
“Andando a ben vedere, tra l’altro, il provvedimento varato dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti due anni fa (nonché nel 2002-2003) garantiva lo “scudo” non verso future imposte, ma “verso ulteriori accertamenti fiscali, che nessuno infatti propone di svolgere”
Nessuno ti fa accertamenti su quei capitali, però ci paghi il 18%.
Con questa manovra lo Stato rompe di fatto altri patti, ma non con gli evasori, con altri, con persone oneste anche perché c'è il TFR dilazionato o “magari qualcuno aveva progettato di comprare una casa al figlio con il Tfr, o di andare in pensione in un dato momento…”
Son tutti patti che si rompono, non è bello ma in emergenza lo Stato queste cose le fa. Deve decidere a chi farle, ai ladri o agli onesti?
A questo proposito concludo con un bellissimo articolo di Francesco Bonazzi sul Secolo XIX in cui si spiega che tutti i grandi scandali degli ultimi anni hanno riguardato persone che hanno fatto lo scudo fiscale, hanno portato in saldo i loro capitali grazie allo scudo Berlusconi-Tremonti-Napolitano.
Il rischio di favorire il riciclaggio, oltre che la corruzione, c’è sempre. Anche perchè quando si parla di scudo fiscale, molte banche vanno troppo di fretta. L’ultima relazione annuale dell’Uif, la struttura di Bankitalia che vigila sul riciclaggio, spiega che in occasione dello scudo fiscale 2009-2010 le banche hanno segnalato solo 688 operazioni sospette, pari allo 0,3% del totale.”
Tutte le altre, evidentemente, gente che portava la valigia coi contanti, non destavano sospetti.
”Ma basta leggere le carte delle ultime inchieste penali sui colletti bianchi, dalla P4 al caso Penati, per rendersi conto che ormai è un coro: «Signor giudice, io ho scudato…».
Rovinati dallo scudo – La prossima campagna pubblicitaria contro l’evasione andrebbe affidata alla dottoressa Raffaella Raspi, 48 anni, di Roma. Il 26 marzo scorso, davanti al gip, spiega così il buco da 170 milioni di euro scavato insieme al suo compagno Gianfranco Lande, meglio noto come il “Madoff dei Parioli”: «La verità è che siamo stati rovinati dall’ultimo scudo fiscale. Molti dei nostri clienti, quando si è trattato di valutare se accedervi, ci hanno detto “Io non le dico come e perché ho questi denari”. Ma i titoli in mano a questi clienti sono di difficile negoziabilità: fondi offshore, non quotati. Nel 2004 non sarebbe stata la stessa cosa, ma nel 2009 hanno scudato entro dicembre e dal primo gennaio 2010, in massa, hanno richiesto tutta la liquidità possibile».
L’indagine partì proprio dalle minacce di morte che alcuni “scudatori”, ritenuti vicini al clan Piromalli, rivolsero a Lande. Riebbero subito indietro 8 dei 16 milioni investiti, ma il falso broker andò a fare denuncia contro ignoti per minacce e insospettì gli investigatori. Le due banche attraverso le quali sono transitate queste centinaia di operazioni non hanno fatto alcuna segnalazione anti-riciclaggio all’Uif.
Comunque vada a finire l’inchiesta della procura di Napoli, un risultato a suo modo storico è già stato raggiunto: ha svelato il percorso finale della mazzetta tenuta per sé da Luigi Bisignani per smistare la maxi-tangente Enimont. Interrogato dal pm Henry John Woodcock il 28 marzo 2011, il lobbista racconta: «Un miliardo e mezzo di lire lo utilizzai nel 1991 per acquistare 4 case dai Salini e gli altri tre miliardi circa me li fece rientrare nel 2001 dalla Svizzera la commercialista Stefania Tucci, grazie allo scudo fiscale e attraverso un giro di società estere che lei utilizzava di solito».
Ma di scudo parlano anche altri due indagati di spicco come gli industriali Alfonso Gallo e Luigi Matacena, oggi grandi accusatori dell’onorevole Alfonso Papa. Gallo racconta ai pm che Matacena, oltre ad essere incappato nello scandalo della “Lista Falciani”, aveva fatto ricorso allo scudo del 2009 e ne aveva parlato allegramente in un pranzo offerto ad Adriano Galliani e a tre generali della Finanza. Matacena, sentito dai pm per secondo, si difende così: «Il mio nome compare nella lista Falciani, ma nel dicembre 2009 ho scudato circa 2 milioni e mezzo di euro che avevo su due conti alla Hsbc di Lugano e poi su un conto acceso alla Banca Zanardelli presso la quale ho fatto lo scudo».
Ma quando gli viene chiesto se avesse domandato consigli ai tre generali della Finanza presenti a quel pranzo (Adinolfi, Bardi e Zafarana), la risposta di Matacena è da manuale: «Non ho mai chiesto alcuna cortesia nè con riferimento allo scudo fiscale nè per altro ai miei amici della Gdf, anche perchè per lo scudo non mi sarebbe servito alcun aiuto, dal momento che è previsto dalla legge e basta pagare la sanzione».
Scudo rosso non avrai il mio scalpo – Con i soldi rientrati legalmente ci si può lanciare in tante avventure. Il 27 dicembre 2005, l’ex patron di Unipol Giovanni Consorte, condannato in primo grado a tre anni per la scalata Antonveneta, spiega che ha fatto dei soldi che gli arrivavano dagli affari con la Popolare di Lodi di Giampiero Fiorani: «Nel 2002 ho aderito allo scudo e ho fatto rientrare il denaro per un importo complessivo di 5.400.079 euro, presso l’Unione fiduciaria di Milano. Ho scudato anche i soldi di Casale come fossero miei».
Il riferimento è a Vittorio Casale, detto “l’immobiliarista rosso”, arrestato lo scorso 13 giugno per bancarotta fraudolenta.
Poi c’è l’imprenditore Piero Di Caterina, che insieme al costruttore Giuseppe Pasini accusa di corruzione Filippo Penati. A gennaio, quando il pm Laura Pedio gli chiede di spiegare come sarebbe stata costituita la maxi-provvista da oltre un milione di euro destinata al Pd milanese, Di Caterina racconta che «quei soldi erano su un conto lussemburghese e li abbiamo fatti poi rientrare nel 2003 in Italia». Come? «Con lo scudo fiscale», naturalmente.
Nei monumentali faldoni perugini dell’inchiesta “G8″ si scopre che almeno due protagonisti della Cricca avrebbero fatto ricorso allo scudo fiscale del 2009: il costruttore Diego Anemone e l’ex provveditore alle Opere pubbliche Angelo Balducci. E non si è lasciato scappare l’occasione dell’ultimo rientro legale di capitali neppure Lele Mora, sotto processo per il Ruby-gate e arrestato per bancarotta. Nelle carte scovate dai pm ci sono i movimenti del conto che l’agente delle starlette aveva presso la Bcc di Carugate Brianza. A gennaio 2009 gli addebitano due euro e cinquanta centesimi per «pratiche scudo fiscale». Mora vince sicuramente il premio “Scudo low cost”.
Ecco, voi a chi fareste pagare questa manovra, potendo? Come abbiamo dimostrato, si può.
Passate Parola.

Marco Travaglio (Passaparola del 22 agosto 2011)


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La fotografia è in genere un documento, la testimonianza di un ricordo che raffigura spesso persone e luoghi, ma talvolta può anche costituire lo spunto per fantasticare un viaggio ovvero per inventare un racconto e leggere con la fantasia l’apparenza visiva. (cliccando sopra la foto è possibile visionare il volume)

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