"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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domenica 31 gennaio 2010

La verità sul Berlusca raccontata dal suo ex avvocato


«Conosco bene il modo con cui Berlusconi chiede ai suoi legali di fare le leggi ad personam, perché fino a pochi anni fa lo chiedeva a me. E, contrariamente a quello che sostiene in pubblico, con i suoi avvocati non ha alcun problema a dire che sono leggi per lui. Per questo oggi lo affermo con piena cognizione di causa: quelle che stanno facendo sono norme ad personam».
Carlo Taormina, 70 anni, è stato uno dei legali di punta del Cavaliere fino al 2008, quando ha mollato il premier e il suo giro – uscendo anche dal Parlamento – a seguito di quella che lui ora chiama «una crisi morale». Ormai libero da vincoli politici, in questa intervista a Piovonorane dice quello che pensa e che sa su Berlusconi e le sue leggi.
Avvocato, qual è il suo parere sulle due norme che il premier sta facendo passare in questi giorni, il processo breve e il legittimo impedimento?
«La correggo: le norme che gli servono per completare il suo disegno sono tre. Lei ha dimenticato il Lodo Alfano Bis, da approvare come legge costituzionale, che è fondamentale».
Mi spieghi meglio.
«Iniziamo dal processo breve: si tratta solo di un ballon d’essai, di una minaccia che Berlusconi usa per ottenere il legittimo impedimento. Il processo breve è stato approvato al Senato ma scommetterei che alla Camera non lo calendarizzeranno neanche, insomma finirà in un cassetto».
E perché?
«Perché il processo breve gli serve solo per alzare il prezzo della trattativa. A un certo punto rinuncerà al processo breve per avere in cambio il legittimo impedimento, cioè la possibilità di non presentarsi alle udienze dei suoi processi e di ottenere continui rinvii. Guardi, la trattativa è già in corso e l’Udc, ad esempio, ha detto che se lui rinuncia al processo breve, vota a favore del legittimo impedimentoı».
E poi che succede? Che c’entra il Lodo Alfano bis?
«Vede, la legge sul legittimo impedimento è palesemente incostituzionale, e quindi la Consulta la boccerà. Però intanto resterà in vigore per almeno un anno e mezzo: appunto fino alla bocciatura della Corte Costituzionale. E Berlusconi nel frattempo farà passare il Lodo Alfano bis, come legge costituzionale, quindi intoccabile dalla Consulta».
Mi faccia capire: Berlusconi sta facendo una legge – il legittimo impedimento -che già sa essere incostituzionale?
«Esatto. Non può essere costituzionale una legge in cui il presupposto dell’impedimento è una carica, in questo caso quella di presidente del consiglio. Non esiste proprio. L’impedimento per cui si può rinviare un’udienza è un impegno di quel giorno o di quei giorni, non una carica. Ad esempio, quando io avevo incarichi di governo, molte udienze a cui dovevo partecipare si facevano di sabato, che problema c’è? E si possono tenere udienze anche di domenica. Chiunque, quale che sia la sua carica, ha almeno un pomeriggio libero a settimana. Invece di andare a vedere il Milan, Berlusconi potrebbe andare alle sue udienze. E poi, seguendo la logica di questa legge, la pratica di ottenere rinvii potrebbe estendersi quasi all’infinito. Perché mai un sindaco, ad esempio, dovrebbe accettare di essere processato? Forse che per la sua città i suoi impegni istituzionali sono meno importanti? E così via. Insomma questa legge non sta in piedi, è destinata a una bocciatura alla Consulta. E Berlusconi lo sa, ma intanto la fa passare e la usa per un po’ di tempo, fino a che appunto non passa il Lodo Alfano bis, con cui si sistema definitivamente».
Come fa a esserne così certo?
«Ho lavorato per anni per Berlusconi, conosco le sue strategie. Quando ero il suo consulente legale e mi chiedeva di scrivergli delle leggi che lo proteggessero dai magistrati, non faceva certo mistero del loro scopo ad personam. E io gliele scrivevo anche meglio di quanto facciano adesso Ghedini e Pecorella».
Tipo?
«Quella sulla legittima suspicione, mi pare fossimo nel 2002. Gli serviva per spostare i suoi processi da Milano a Roma. Lui ce la chiese apertamente e noi, fedeli esecutori della volontà del principe, ci siamo messi a scriverla. E abbiamo anche fatto un bel lavoretto, devo dire: sembrava tutto a posto. Poi una sera di fine ottobre, verso le 11, arrivò una telefonata di Ciampi».
Che all’epoca era Presidente della Repubblica.
«Esatto. E Ciampi chiese una modifica».
Quindi?
«Quindi io dissi a Berlusconi che con quella modifica non sarebbe servita più a niente. Lui ci pensò un po’ e poi rispose: “Intanto facciamola così, poi si vede”. Avevo ragione io: infatti la legge passò con quelle modifiche e non gli servì a niente».
Pentito?
«Guardi, la mia esperienza al Parlamento e al governo è stata interessantissima, direi quasi dal punto di vista scientifico. Ma molte cose che ho fatto in quel periodo non le rifarei più. Non ho imbarazzo a dire che ho vissuto una crisi morale, culminata quando ho visto come si stava strutturando l’entourage più ristretto del Cavaliere.
A chi si riferisce?
«A Cicchitto, a Bondi, a Denis Verdini, ma anche a Ghedini e Pecorella. Personaggi che hanno preso il sopravvento e che condizionano pesantemente il premier. E l’hanno portato a marginalizzare – a far fuori politicamente – persone come Martino, Pisanu e Pera. E adesso stanno lavorando su Schifani».
Prego?
«Sì, il prossimo che faranno fuori è Schifani. Al termine della legislatura farà la fine di Pera e Pisanu».
Ma mancano ancora tre anni e mezzo alla fine della legislatura…
«Non credo proprio. Penso che appena sistemate le sue questioni personali, diciamo nel 2011, Berlusconi andrà alle elezioni anticipate».
E perché?
«Perché gli conviene farlo finché l’opposizione è così debole, se non inesistente. Così vince un’altra volta e può aspettare serenamente che scada il mandato di Napolitano, fra tre anni, e prendere il suo posto».
Aiuto: mi sta dicendo che avremo Berlusconi fino al 2020?
«E’ quello a cui punta. E in assenza di un’opposizione forte può arrivarci tranquillamente. L’unica variabile che può intralciare questo disegno, più che il Pd, mi pare che sia il centro, cioè il lavorio tra Casini e Rutelli. Ma se questo lavorio funzionerà o no, lo vedremo solo dopo le regionali».


mercoledì 27 gennaio 2010

Chi scrive su l'Antefatto


Elenco autori degli articoli e dei post del blog L’Antefatto:
Antonio Padellaro (rubrica twitter), Marco Travaglio (rubrica la mosca tzé tzé), Oliviero Beha (rubrica olivernet), Francesco Bonazzi (rubrica eco-balle), inoltre contribuiscono: Furio Colombo, Giampiero Calapà, Sandra Amurri, Luigi Zaja, Elisabetta Reguitti, Benny Calasanzio, Vincenzo Iurillo, Roberta Corradin, Erminia della Frattina, Massimiliano Boschi, Giuseppe Giustolisi, Alessio Gervasi, Denise Fasanelli, Nanni Delbecchi, Luisa Maradei, Elena Valdina, Bruno Tinti, Loris Mazzetti, Paola Zanca, Stefano Santachiara, Antonella Mascali, Monica Raucci, Alessia Grossi, Roberto Corradi, Federico Mello, Mauro della Porta Raffo, Giovanna Gueci, Luca Telese, Davide Vannucci, Marialaura Carcano, Gabriele Sabatino, Elisa Battistini, Beatrice Borromeo, Marina Boscaino, Antonino Monteleone, Silvia D'Onghia, Stefano Feltri, Paolo Dimalio e Irene Buscemi.
Inoltre vengono pubblicati quotidianamente una selezione di articoli della redazione de Il Fatto Quotidiano.
Web editing a cura di Vincenzo Russo.
Note: il blog è su piattaforma Il Cannocchiale di proprietà di DOL srl - Roma.


martedì 26 gennaio 2010

Mangano: se un mafioso diventa eroe


I politici parlano tanto e cercano di raccogliere voti anche negli angoli più sporchi della Sicilia. Sono pronti a tutto. A stringere accordi con la mafia, anche se pubblicamente devono scagliarsi contro Cosa nostra o le altre mafie. Insomma, a parole sono tutti bravi. Molti politici, della legalità, dell’etica e della giustizia però non vogliono saperne nulla, perché sono elementi che non portano voti. La mafia, invece, sì.
Quando Silvio Berlusconi è arrivato in Sicilia domenica 6 aprile, qualcuno gli ha suggerito che era opportuno - per una questione mediatica - che dal palco di Palermo e poi da quello di Catania, qualcosa contro la mafia era opportuno che la dicesse. Al cavaliere questa parola “mafia” non va proprio giù e da tempo non riesce a pronunciarla. Forse per questo ha pensato bene di dire che “tutti i voti al PdL saranno utilizzati contro la criminalità organizzata”, che è molto diversa da Cosa nostra. Alcune ore dopo, al termine del pranzo, interpellato dai giornalisti che si chiedevano come mai non avesse pronunciato la parola mafia, il cavaliere ha specificato: “Per quanto riguarda la Sicilia, i voti al Pdl saranno usati contro la mafia; nelle altre regioni contro 'ndrangheta, Camorra e Sacra corona unita. Così mi sembra di essere molto chiaro”. Chiarissimo. Anche per i boss.
In Sicilia si vive di segnali, e le parole vengono pesate. E a Berlusconi in passato qualcuno glielo ha spiegato bene.
La mafia è mafia proprio perché ha contatti con i politici, altrimenti sarebbe solo “criminalità organizzata”. Ma l’uscita pubblica del cavaliere in Sicilia sembra non essere piaciuta a qualche suo amico vicino alle cosche. E così, per equilibrare le cose, Marcello Dell’Utri è corso subito ai ripari, parlando contro i collaboratori di giustizia, ricordando che il fattore della villa di Arcore di Silvio Berlusconi, il boss mafioso Vittorio Mangano, era stato “un eroe”. Il messaggio è lanciato. Si corre ai ripari e forse alla chiamate alle armi. Dell’Utri ancora una volta tende una mano a Cosa nostra. Ma i “picciotti” siciliani sembrano non essere ancora contenti dello sgarbo che è stato loro fatto il 6 aprile e per questo il cavaliere torna a parlare di Mangano, appoggiando ciò che aveva detto il suo consigliere e amico Dell’Utri.
Alla luce di tutto ciò mi chiedo se può mai essere coerente l’atteggiamento di una persona, in questo caso Berlusconi, che prima grida contro le mafie e poi sostiene e difende un capomafia, un sicario delle cosche, un trafficante di droga, un riciclatore. Si può mai sostenere un leader politico che considera eroe un mafioso, un uomo che si è macchiato le mani del sangue innocente di siciliani assassinati perché vittime di guerre fra clan, che propone per i magistrati test per la salute mentale e si scaglia contro i collaboratori di giustizia? Può mai un politico che si circonda di amici vicini a Cosa nostra, alla ‘ndrangheta, alla camorra, avere la fiducia dei cittadini? Possono le mafie, ancora oggi, dopo l’uccisione di magistrati, esponenti politici, sindacalisti, sacerdoti e giornalisti, avere la meglio sulla democrazia e sostituirsi all’insieme dei fini cui tende un governo, un partito?
Intanto il Meridione soffre e si piega alla supremazia delle mafie e dei collusi con essa. Mentre diversi politici continuano a finanziare le organizzazioni criminali con l’acquisto di cocaina per uso personale.

Lirio Abbate (10 aprile 2008)

sabato 23 gennaio 2010

Il Cliente


Era quasi l’ora di chiusura e il farmacista Waldemar leggeva una rivista di viaggi. Non c’erano più clienti. Solo una tossica che si rifaceva il trucco allo specchio del reparto cosmetici. Passava di lì tutte le sere, il farmacista non ci faceva neanche più caso. Era un fine inverno particolarmente propizio ai bacilli e ai consigli su come liberarsene. Anche quel giorno il farmacista aveva fatto un buon incasso. Una folata di vento fece cigolare la porta a vetri girevole. La tossica se n’era andata. Nella porta girevole entrò un vecchio alto e impacciato. Il signor Licata. Non aveva ancora imparato ad usare la porta. Ci rimaneva ogni volta bloccato dentro un momento, smarrito e sospettoso, attendendo chissà quale pericolo. La spingeva a piccoli passi e quando ne usciva aveva l’aria di aver scalato una montagna.
— Buonasera — disse il farmacista — come è andato il lavoro?
Il signor Licata faceva l’orologiaio.
— Se qualche anno fa mi avessero detto che avrei venduto orologi russi — disse sospirando il signor Licata.
Era pallido, aggraziato, con una corta barba grigia. Oppresso da un cappotto color grigio preistorico e una sciarpa a quadri.
— E a me, se avessero detto che avrei venduto siringhe ai giovani e vitamine ai vecchi?
Il signor Licata non disse nulla. Si guardò intorno e poi fissò il farmacista come se aspettasse qualcosa.
— Vuol provare la pressione? — disse Waldemar.
— No — disse il vecchio orologiaio. — Stanotte è luna piena.
— Non era ieri notte?
— Stanotte — disse l’orologiaio.
— Beh non è tanto freddo — disse Waldemar — si potrà passeggiare tranquillamente.
— Non avrebbe qualcosa... — disse l’orologiaio, a voce bassa — qualcosa un po’ più forte dell’altra volta? Magari qualcosa che mi faccia dormire.
Il farmacista scosse la testa e si tolse il camice.
— Il suo problema signor Licata, non è un problema di sedativi. Io credo che lei debba accettarlo e basta. Il Tavor può toglierle un po’ l’ansia. Se anche le dessi qualcosa di più forte lei sarebbe solo un po’ stordito, ma non risolverebbe niente. Magari le verrebbe assuefazione e avrebbe bisogno di sedativi anche nei giorni... negli altri giorni...
— Che ore sono? — disse l’orologiaio.
— Le otto — disse Waldemar.
— Le faccio perdere tempo se mi misura la pressione?
— Niente affatto. Si sieda — disse Waldemar. Provava una certa simpatia per quel vecchio.
— Vede — disse l’orologiaio — il fatto è che conosco ormai tutta questa città, strada per strada. Il centro è buio, di notte, e ci sono solo vetrine, manichini, scarpe. E non mi azzardo ad andare in periferia. Mi corrono dietro. Bande di ragazzacci. Curiosi. Non hanno paura di niente. Allora da un po’ di tempo vado sui colli. Ma ho paura. Quelle ville, con i cani dentro. E quei cancelli pesanti. L’altra luna mi hanno sparato addosso.
— Avrà fatto i soliti rumori — disse il farmacista stringendo la banda elastica. Il braccio del vecchio era robusto e scuro.
— Oh no, non faccio più quelle cose. Cammino e basta. Cammino, finché le gambe mi reggono. Poi mi nascondo in qualche prato e aspetto l’alba. Mi sveglio tutto bagnato, col male alle ossa.
— La pressione è appena un po’ alta, ma è logico — disse il farmacista — lei è agitato, come sempre in queste sere...
— E lei cosa farà stasera? — chiese l’orologiaio.
— Andrò a un concerto. Un pianista rumeno credo. Schubert, Liszt, Chopin. Un buon programma.
— Con sua moglie?
— Con mia moglie.
— Avete fatto la pace?
— Per forza — rise il farmacista — questa farmacia è mezza sua, se l’immagina, mettersi in mano agli avvocati. Sono un branco di...
— E suo figlio?
— Mio figlio è a sciare. Ha appena dato un esame all’Università. Passa per il rotto della cuffia, ma passa sempre. Studiacchia. Gli piace la gente che c’è in quella scuola, dice che è bella gente. In effetti, non l’hanno mai occupata. Io sono abbastanza tranquillo a sapere che studia là. Ci sono dei professori ottimi. C’è quello della Banca d’Italia...
— I pòllini — disse il vecchio orologiaio.
— I pòllini?
— Sì, tra poco cominceranno i pòllini...
— Le darò un antistaminico.
— La ringrazio. Lei è molto gentile...
— La conosco da anni, ormai...
— Lei sa che io non ho mai fatto male a nessuno...
— Adesso non ricominci. Ecco il Tavor. Ne prenda uno verso le undici, un’ora prima, e uno alla mattina quando si sentirà meglio. Uno solo, però...
— Lo so. Quando ne ho presi tre, mi sono addormentato sotto un cassonetto della spazzatura. Per fortuna ero coperto col cappotto. Hanno pensato che fossi un barbone.
Disse questo senza sorridere. Si alzò, guardando il mistero della porta girevole.
— Penso che andrò sui colli anche stanotte...
— Stia attento signor Licata... Non si faccia nuovamente sparare addosso...
— Sparano a chiunque, sa?... cioè non mi sparano perché sono... sparano perché mi prendono per un ladro, per uno che passa nella loro proprietà... non si accorgerebbero di nulla se mi uccidessero... sa, quando uno di noi muore, torna subito... normale.
— Lei è del tutto normale... quasi normale...
— Sì? — sorrise il signor Licata — allora stasera verrò al concerto con lei.
Il farmacista spense la luce, ebbe un attimo di esitazione, la riaccese subito senza sapere perché.
— Le dirò la verità signor Licata. Non mi piacciono più i concerti. Detesto stare con mia moglie. I miei amici parlano solo di macchine e di barche. Ma come dice lei, io sono una persona normale... lei conosce l’Irlanda?
— Io non ho mai viaggiato — disse l’orologiaio.
— Beh, ci andrò in vacanza quest’estate. Questa è l’unica cosa che mi piace. Viaggiare.
— E a me camminare di notte. E riparare orologi vecchi.
Il farmacista sorrise. Spinse delicatamente l’orologiaio fuori dalla porta girevole, sentì la schiena ossuta sotto il cappotto. La piazza era già buia.
— Allora... stia tranquillo... — disse — passerà, come sempre.
— Certo — disse l’orologiaio — non devo aver paura. E poi alla nostra età ormai, di cosa si deve aver paura?
— Neanche più dei russi — disse il farmacista.
L’orologiaio si soffiò il naso e si allontanò con passo sghembo. Il farmacista chiuse la serranda. Quando si voltò notò subito in cielo la luna, gialla e immensa. L’orologiaio era già in fondo alla piazza. Gli parve che si voltasse per un attimo e lo salutasse, con un gesto di addio, un gesto aggraziato.

Stefano Benni (maggio 1990)

Il tanga secondo Luciana Littizzetto....


Donne. Giulive oche giulive. Parti buone delle mele marce che sono gli uomini. Campionesse mondiali di miopia sentimentale. Mi rivolgo a voi e in nome vostro supplico , chiedo e invoco l'abolizione e il divieto assoluto di vendita dei tanga in Italia. Uno stato democratico dovrebbe tutelare la salute mentale della femmina. Dovrebbe farsi carico di sciagure sociali di questa portata. Perché i tanga, credetemi, sono un vero flagello per nervi. Sono un colpo basso al sistema nervoso. Tu prova ad indossare un tanga. Due secondi e sglurb... non lo trovi più, perché lui va giù, giù,giù, sprofonda come il filo per tagliare la polenta, si inabissa nel dirupo delle chiappe e sparisce all'orizzonte. Risucchiato per sempre. Ma io ve lo dico col cuore : un tanga inghiottito dalle carni è in grado di togliere la voglia di vivere tutto il giorno. Se, la mattina al posto della bella braga ascellare, quella di cotone con il fiocchettino al centro, quella che era rosa ma col candeggio sbagliato è diventata tortora, e poi rilavata ha assunto un'inspiegabile tinta ardesiae si è ammollato l'elastico, se al posto della mutanda slandronata in cui ci infili dentro la canottiera, tiri in basso e ci fai sbucare due belle mezzelune, se al posto di tutto questo, indossi spensierata il perizoma, tu sei una donna rovinata, figlia mia. Sei una femmina finita che passerà tutta la giornata a disincastrarsi la filura e a suonare col mignolo l'aria sulla quarta corda di Bach. Il tanga, lo dico con cognizione di causa, è un'arma di distruzione di massa. Il tanga di pizzo poi, quello crivellato di smerli, una vera piaga sociale. E' proprio lo strazio supremo. Perché è urticante. Pizzica, irrita, punge. D'altra parte, son anche 20 centimetri di filo spinato in mezzo alle chiappe. Come indossare un gambo di rosa. Come infilarsi al posto dello slip un gnocco di cuki alluminio. E l'aggravante è che sti rosicanervi son pure cari come il fuoco. Minimo 20 euro. Al mercato qualcosa meno, se li compri di simil legno. Altrimenti 20 euro. Quaranta mila lire per un cordino. Per uno spaghetto alla chitarra. Ma a me bastano due euro. Ma io con due euro mi compro un chilometro di corda per le tapparelle e mi faccio le mutande come i lottatori di sumo. Ma la tristezza vera consiste nel fatto che mentre noi puciunin, per far le favolose soffriamo le pene dell'inferno, loro, i maschi, sotto i calzoni cosa mettono? I boxer. Bastardi pidocchi. I boxer. Mezzo metro di lenzuolo con il grande cocomero che balla lalambada. I boxer. Una tavella di maglina molle con la feritoia per le uscite di emergenza. Li odio. Noi dobbiamo andare in giro con un filo del telefono al posto delle mutande e loro belli comodi coi mutandoni da Stanlio e Ollio. Donne. Fulgide stelle che rilucete nel firmamento delle idiote. Non vale la pena. Non volete desistere? Allora proverò per voi una pietà infinita.

Luciana Littizzetto

IL BIGLIETTO DA VISITA


Farsa di Achille Campanile - Personaggi: Pasini, Portiere d’albergo, Direttore


La hall di un albergo. Sono sufficienti alcuni elementi, un bancone dietro cui è appoggiato il Portiere ed un campanellino.


Pasini: (entrando con una valigia in mano e rivolgendosi al Portiere) M’annunci al Direttore (porge il biglietto da visita)

Portiere (prima piuttosto distratto, quasi sprezzante, poi si allarma vistosamente alla vista del biglietto) se vuole accomodarsi ed avere la compiacenza di attendere un istante, corro ad avvisare il Direttore (cerimonioso, corre ad avvertire il Direttore, sprecandosi in inchini)

Direttore (arriva trafelato assieme al Portiere, infilandosi la giacca, ha in mano il biglietto da visita, anche lui è molto ossequioso, fa un inchino esagerato) In cosa posso servirla, eccellenza?

Pasini: (modesto) non sono eccellenza

Direttore: ma sul biglietto è stampato S.E.

Pasini: beh, quelle sono semplicemente le iniziali del mio nome: Silvio Enea

Direttore: (leggermente smontato) bene Professore, dica pure

Pasini: io non sono professore

Direttore: ma questo Prof.?

Pasini: abbreviazione di “profugo”. Sono profugo di un campo di concentramento

Direttore: mi dispiace molto, ingegnere

Pasini: desolato di doverla nuovamente correggere, direttore, ma non sono ingegnere

Direttore: eppure qui c’è un “ing.” (rispettosamente scherzoso) Non vorrà dirmi ch’ella sia un ingenuo, o un ingiusto e tanto meno un ingeneroso

Pasini: ingegnoso, nient’altro che ingegnoso. E glielo prova il fatto d’indicare questa mia virtù con una abbreviazione che talvolta mi procura dei vantaggi

Direttore: ah, (sempre più freddo) allora la chiamerò soltanto col suo titolo di avvocato

Pasini: (quasi divertito) quale titolo? Quale avvocato? Quando feci stampare i biglietti da visita non ero in pianta stabile nel posto che occupavo. Ciò le spiega quell’”avv.” che tanto l’ha impressionata e che sta per “avventizio”

Direttore: (secco) e qual’era questo posto, commendatore?

Pasini: non sono commendatore. Non mi piace attribuirmi titoli che non ho. E ai quali non tengo

Direttore: (scattando) eppure qui c’è scritto “comm.” Oh accidenti, non sono mica cieco. Leggete anche voi! (sventola il biglietto sotto gli occhi del Portiere che ha seguito tutto il dialogo)

Pasini: abbreviazione di “commissionario”. Ero commissionario d’albergo. (espressioni di disapprovazione e di riprovazione del Portiere)

Direttore: dica, Pasini. (Pasini scuote il capo) chè? Non sarebbe per caso neppure questo Pasini? Questo è troppo!!

Pasini: No, no, questo (scuote il capo) è solo un tic

Direttore: (ormai infuriato) Bene, brav’uomo. Che cosa desidera?

Pasini: vorrei essere assunto come facchino

Direttore: (pausa interlocutoria, si calma scambiando occhiate con il Portiere) permette dunque che verifichi le sue capacità? Quella è la sua valigia? Può mostrarmi come la regge?

Pasini: Nessun problema (prende la valigia) dove la devo portare?

Direttore: da quella parte (indica verso al porta, Pasini ha un gesto come per chiedere se è la direzione giusta e il Direttore conferma, Pasini si avvia e il Direttore gli ammolla un calcio nel sedere, seguito dal Portiere, entrambi lo accompagnano fuori dalla porta a calci e pugni)


Achille Campanile


Una legge ad personam anche per me


di Totò Riina*

Egregio dottor Massimo Fini, le chiedo scusa se mi permetto di rivolgermi a Lei, ma, benché io sia notoriamente religioso e credente, non so più a che santo votarmi. Da anni, anzi da decenni, sono vittima di un "racket dell’odio" che vede uniti certi settori di una magistratura deviata e si può dire l’intera stampa nazionale. Sono oggetto di un "accanimento giudiziario" che non ha precedenti né paralleli nella storia del nostro paese: centinaia di perquisizioni, anche nelle abitazioni dei miei familiari, decine di rinvii a giudizio, di processi, di sentenze senza che potessi beneficiare, almeno una volta, di quella prescrizione che, come Lei certamente sa, oggi non si nega a nessuno.
I magistrati, che quando non sono corrotti sono "antropologicamente dei pazzi" (solo a un individuo che ha delle turbe, probabilmente di origine sessuale, può venire in mente di fare un mestiere che consiste nell’andare a ficcare il naso nei fatti altrui) e i media non hanno avuto riguardo nemmeno per mio figlio, Salvatore, che è un bravissimo ragazzo, che ha fatto studi regolari e si è laureato brillantemente.
Non pretendo che sia nominato sottosegretario agli Esteri, come è accaduto a rampolli di personaggi che più o meno si trovano penalmente nella mia situazione e che oggi vengono doverosamente onorati, ma perlomeno che sia lasciato in pace.
Non intendo, egregio dottor Fini, a differenza di altri, occultare le mie responsabilità. Qui, dalle mie parti, quando ero una persona stimata, rispettata e, diciamolo pure, temuta da tutti (del resto sono convinto che col tempo, che è galantuomo, sarò ricordato dagli amici, e forse anche dai nemici, come un uomo buono) ho chiesto a imprenditori e commercianti quello che da noi si chiama "il pizzo" e al nord "tangente".
Per la verità non l’ho mai fatto direttamente, alla bisogna provvedevano i miei amici. Potrei quindi anch’io trincerarmi dietro l’argomento che il "non poteva non sapere" è un teorema indegno di uno Stato di diritto. Ma non intendo spingermi fino a questo punto, sarebbe contrario alla mia coscienza morale e al patto di fedeltà che mi lega agli amici. Sapevo, dunque. Ma quanti importanti uomini politici del nord che riscuotevano il "pizzo", pardon la tangente, si sono salvati mentendo, affermando che non sapevano nulla di quanto accadeva all’interno della loro organizzazione? Che il loro errore era stato solo quello di fidarsi di persone sbagliate? Per me invece questa giustificazione non è stata mai ritenuta valida.
La solita discriminazione ai danni del Mezzogiorno. Aggiungo che non ho cercato di corrompere testimoni in giudizio, che non ho reso falsa testimonianza , che non sono mai stato iscritto alla P2, un’organizzazione peraltro di ciarlatani e di carrieristi ben lontana, mi consenta di dirlo, dal rigore e dalla serietà della mia. Per me sarebbe stata una retrocessione. Infine, benché inseguito da infiniti mandati di cattura, non sono mai scappato dal mio paese. Lo amo troppo, per quanto si sia dimostrato così ingiusto con me.
Lei dice: e gli assassinii? Eh no, io qui mi indigno, mi indigno veramente, sono cose di cui non voglio più nemmeno sentir parlare. Accuse fondate sul niente se non su pregiudizi nei miei confronti, senza lo straccio di una prova che non siano le parole di "pentiti", di infami, di assassini pronti a tutto pur di sfuggire alla galera. I veri "uomini d’onore", quelli che, come me, hanno una parola sola, non mi hanno mai accusato di nulla del genere. Hanno tenuto la bocca chiusa.
Il "racket dell’odio" mi accusa anche di aver accumulato enormi ricchezze. Ma tutti hanno potuto vedere in che razza di fetido tugurio, privo di qualsiasi comodità, vivevo quando sono stato ingiustamente arrestato.
Egregio dottor Fini sono vissuto povero e morirò povero. I miei soldi li ho sempre versati all’organizzazione. Dalla mia attività non ho mai tratto guadagni personali. Non ho mai avuto case a New York. Non pretendo per questo che ministri della Repubblica vengano a rendere omaggio alla mia tomba quando sarò morto. Ma che sia riconosciuta la mia onestà personale, questo sì. È un mio diritto.
Le porgo i miei più deferenti saluti.

*testo di fantasia ma verosimile di Massimo Fini

Da Il Fatto Quotidiano del 19 gennaio
Giustizia&Impunità | Massimo Fini

Craxi al netto delle tangenti

Testo:

Buongiorno a tutti, siamo nel pieno delle celebrazioni di Bettino Craxi, mi sono un po’ stufato di ricordare le tangenti che prendeva, anche perché l’abbiamo già fatto in queste ultime settimane e poi ci viene autorevolmente raccomandato e stiamo aspettando tutti con ansia il messaggio del Capo dello Stato, per celebrare degnamente il decennale del latitante, che bisogna andare oltre le vicende giudiziarie e che bisogna dare un giudizio politico, perché naturalmente un uomo politico non può essere ridotto soltanto alle condanne e ai processi.

La scalata al Partito Socialista (espandi | comprimi) - E’ vero, Craxi non ha avuto soltanto condanne e processi, Craxi è stato anche altro: ha fatto politica, da questo punto di vista vale sempre la vecchia battuta di Grillo, che nella Prima Repubblica di solito prendevi un politico e, dopo un po’, diventava un ladro, mentre nella seconda di solito prendi un ladro e dopo un po’ diventa un politico. Certamente Craxi quando ha iniziato a fare politica non l’ha fatta per rubare, ha cominciato a rubare mentre faceva politica e su Il Fatto Quotidiano ho pubblicato un’intervista del 93 di Fabrizio Cicchitto, che non era craxiano, era socialista lombardiano, ma fu messo da parte nel Partito Socialista dopo l’81, quando si scoprì che era iscritto alla Loggia P2. Cicchitto è un raro caso di socialista espulso da Craxi, messo ai margini da Craxi per indegnità morale e per la sua iscrizione alla P2 e infatti, rancoroso nei confronti di Craxi per essere stato sbattuto fuori per dieci anni e recuperato soltanto nel 92, Cicchitto nel 93 diede un’intervista - pensate un po’ - a Augusto Minzolini, l’attuale direttore del TG1, che all’epoca era cronista de La Stampa e, in quell’intervista, Craxi veniva dipinto da Cicchitto come poco meno o poco più di un malfattore. Se la trovo, ho qui Il Fatto di questi ultimi giorni, un piccolo brano ve lo devo regalare, perché? Perché Cicchitto ricorda come Craxi scalò il Partito Socialista quando, alla fine degli anni 70, sembrava che non ce la dovesse fare a prendere il potere e poi invece ce la fece per pochissimi voti e, disse Cicchitto, quei pochissimi voti se li era comprati, aveva praticamente lanciato un’Opa sul Partito Socialista con quali soldi? Eh, con i soldi del conto protezione, ossia con i soldi che gli aveva pagato il Banco Ambrosiano, grazie ai buoni uffici di Licio Gelli e di Roberto Calvi. Conseguentemente, se andate sul sito antefatto, o ilfattoquotidiano.it la trovate integrale quell’intervista. Cicchitto disse, “ quando scoprimmo che Craxi aveva questo ben di Dio messo a disposizione sul conto svizzero, il famoso conto protezione, da Licio Gelli e Roberto Calvi beh, capimmo che non ce l’avremmo fatta”. Dice anche che Pietro Nenni gli mandò una lettera nella quale gli intimava di dimettersi, a Craxi, ma che quella lettera fu fatta sparire: lo dico, perché chi sta a Roma vede in questi giorni la città tappezzata di manifesti in cui si vede Craxi giovane e Nenni vecchio con il bastone. Il rapporto tra i due era appunto che il vecchio patriarca, sdegnato nei confronti di Craxi, aveva mandato una lettera per intimargli di dimettersi, lettera che poi è stata fatta sparire, ma in quel partito l’abitudine a fare sparire molte cose era diffusa. Però ci dicono che non ci sono soltanto le tangenti, c’è anche la politica, c’è anche altro e conseguentemente, per dare un giudizio complessivo su Craxi, bisogna valutare il suo ruolo politico: lo scrive ancora questa mattina L’Ambasciatore Romano in uno dei suoi pezzi solitamente ambigui, dove dà un colpo al cerchio e uno alla botte e penso che possiamo benissimo parlare solo esclusivamente, oggi, della politica di Craxi, per vedere se ha portato bene o ha portato male all’Italia: in fondo stiamo parlando di un signore che ha imperversato nella politica italiana per quasi venti anni come leader del partito, come ago della bilancia dall’alto del suo 12 o 14% della politica italiana, come Presidente del Consiglio tra l’83 e l’87 e come parlamentare fino al 1994, quando non si ricandidò perché sepolto sotto le vicende giudiziarie e invece scappò all’estero.Il presidente del debito (espandi | comprimi) - Vediamoli, dunque, questi grandi meriti politici che ha avuto Craxi al netto delle tangenti, perché è un po’ ricattatorio questo modo di giudicare e di dire che non bisogna pensare soltanto alle tangenti, ma anche alla politica: intanto, se uno prende tangenti è un tangentaro e poi è chiaro che anche il mostro di Firenze credo abbia offerto qualche brioches a qualche bambino povero, o abbia aiutato qualche vecchina a attraversare la strada, eppure rimane sempre il mostro di Firenze!
In ogni caso cediamo pure a questo ricatto e parliamo dei grandi meriti politici che, secondo alcuni, ne farebbero un grande statista, paragonato addirittura a De Michelis o a De Gasperi, o paragonato ieri sera da Claudio Martelli a qualcosa di meglio rispetto a Berlinguer e dal Ministro Sacconi a un genio praticamente, a un numero uno della politica italiana. Credo che, stringi stringi, le uniche due cose positive che personalmente riesco a intravedere in quei quasi venti anni di leadership nazionale Craxi le abbia fatte quando si è opposto al nucleare e ha patrocinato il referendum contro il nucleare e, in parte, quando ha dato un colpo all’inflazione stroncando, smantellando la scala mobile. Sul secondo punto il fine giustificava i mezzi forse, visto che avevamo un’inflazione più vicina al 20% che al 10%, ma non dimentichiamo che stroncare la scala mobile voleva dire sganciare lo stipendio, il salario dei lavoratori dipendenti dal costo del lavoro e quindi, naturalmente, hanno perso di potere d’acquisto gli stipendi dei lavoratori, tanto per cambiare si è deciso di far pagare ai più poveri i disastri della finanza pubblica, che non erano colpa loro, per dare uno scrollone ai sindacati, che sicuramente avevano delle grosse responsabilità. Quanto al nucleare, non so se avete notato, ma tutti i fans di Craxi di oggi se la dimenticano quella faccenda del nucleare, del no dei socialisti al nucleare, che poi portò al referendum che fu vinto dai nemici del nucleare e infatti oggi tutti i fans di Craxi sono per il nucleare e sorvolano sul fatto che Craxi era contro. Al di là di questo, francamente non vedo nessun motivo per parlare di meriti politici, al netto delle tangenti: cominciamo dal debito pubblico. Per fortuna, sia pure nascosto in fondo a una pagina, a pagina 17 de Il Corriere della Sera di giovedì, Salvatore Bragantini, economista molto in gamba, molto esperto, ci ricorda che cosa ha fatto Craxi per il debito pubblico e dice “ il caso Grecia ora tiene banco, ma è solo l’inizio, tutti i Paesi dell’Eurozone a alto debito - si fa più presto a dire chi non c’è - sono condizionati dai vincoli di Maastricht , svuotare i quali vorrebbe dire silurare l’Euro. Non è loro preclusa solo la leva della politica monetaria, anche lo spazio per quella fiscale si fa impervio, non c’è una lira, i soldi (pochi) vengono spessi per pagare gli interessi sul debito e quindi non c’è trippa per tagliare le tasse. Si può giostrare solo a parità di gettito e la manovra è limitata dalle norme dell’Unione Europea, per esempio per l’Iva. In questo frangente, cosa fare in concreto per restare un grande Paese, senza farsi pian piano relegare nella serie inferiore? Un’opinione pubblica disinformata potrebbe reagire prendendosela con l’Europa, mentre in realtà ce la dobbiamo prendere con noi stessi e, soprattutto, con chi oggi celebra Craxi.” E ricorda, Bragantini, che “ il risanamento morale, utile in sé, darebbe anche un robusto contributo a quello economico”, perché l’immoralità pubblica, la corruzione pubblica che porta aumenti di spesa pubblica sono, in realtà, all’origine del boom del nostro debito punto di riferimento, che non è sempre stato alle stelle: ha cominciato a andare alle stelle a partire dal 1980, cioè da quando imperò sull’Italia per dodici anni il famoso Caf (Craxi, Andreotti, Forlani). Se ci fosse ancora una classe dirigente degna del nome, anziché assistere in un silenzio forse non imbarazzato, ma certo imbarazzante alla rivalutazione di Bettino Craxi, questa classe dirigente ricorderebbe al Sindaco di Milano, che vuole dedicargli una via o un parco, alcuni fatti stranoti nelle metropoli straniere che ama frequentare la signora Moratti. Lasciamo pure stare i gravi reati per cui Craxi è stato condannato e che paiono divenuti trascurabili, c’è molto di più: sotto la guida politica sua e di De Mita, che oggi non a caso ne canta le gesta, il nostro debito pubblico è volato dal 60 al 120% del Pil, in dodici anni è raddoppiato il rapporto tra debito e prodotto interno lordo; di qui il macigno che tutt’ora grava sulle spalle del Paese e ne frena lo sviluppo, sapete che quel debito lo paghiamo con 80 miliardi di Euro all’anno di soli interessi. Nell’éscalation del debito ebbe il suo bel peso l’aumento dei costi delle opere pubbliche dovuto alle tangenti, scoperte grazie a Mani Pulite: quei costi, in seguito alle indagini, crollarono di botto e chi allora accusò il colpo ce lo restituisce con gli interessi. Nel 1992, quando crollò la Prima Repubblica sotto i colpi delle tangenti e poi si travestì da Seconda Repubblica grazie a quel grande gattopardo che è Berlusconi, un chilometro di metropolitana a Milano costava 192 miliardi, nello stesso periodo a Amburgo un chilometro di metropolitana costava 45 miliardi, meno di un quarto. In quel periodo il passante ferroviario di Milano costava 100 miliardi a chilometro e è stato realizzato in dodici anni; nello stesso periodo il passante ferroviario di Zurigo è costato la metà, 50 miliardi a chilometro, e ha richiesto la metà del tempo per i cantieri (sette anni, anziché dodici). E’ così che nasce il boom del debito pubblico che, nell’80, era il 60% del Pil, nell’83 era già il 70% del Pil, nell’83 Craxi diventa Presidente del Consiglio, ci rimane quattro anni, è il governo più lungo della Prima Repubblica, in quei quattro anni il rapporto tra debito e Pil passa dal 70 al 92% e, in termini liquidi, il debito pubblico passa da 400 e qualcosa mila miliardi a un milione di miliardi in quattro anni, gli anni del governo Craxi. Dopodiché, negli anni dei governi Goria e De Mita, il rapporto debito /Pil balza ulteriormente dal 92 al 118%, che è il valore che ha praticamente oggi, perché abbiamo avuto qualche anno di risanamento grazie alle politiche del centrosinistra, soprattutto dei Ministri Ciampi e Padoa Schioppa e poi abbiamo avuto invece lo sfondamento del centrodestra che, guarda caso, ha affidato l’economia nelle mani degli stessi che collaboravano con Craxi ai tempi in cui veniva scavato il grande buco del debito pubblico: oggi la nostra economia è nei mani dei Tremonti, dei Brunetta e dei Sacconi, cioè degli stessi consulenti economici di Craxi e De Michelis, che all’epoca stavano scavando quel gigantesco buco che ancora non siamo riusciti a riempire. “Craxi politicamente ebbe ragione su diversi punti: per esempio, sulla scala mobile e, chi era privo di paraocchi ideologici lo vide subito”, scrive ancora Bragantini, “ma non uscì di scena solo per i reati: soprattutto perché ci stava trascinando nell’abisso. Non era il solo, ma la sua riabilitazione, oltre a reiterare il teorema per cui la magistratura rossa dà la caccia ai politici, sancisce anche ufficialmente l’inanità del tentativo di sfuggire a ruberie e malgestione, è questa la cosa più grave e dà il senso di un Paese che ha smarrito con la memoria la bussola dell’interesse generale. Tutti quelli che nelle aziende esportatrici si dannano a recuperare la competitività perduta dovrebbero pensarci bene, prima di avallare con il silenzio la restaurazione. Se poi Milano dovrà davvero scegliere una via da dedicare a Craxi, cambiamo nome a quella oggi intitolata Giorgio Ambrosoli: daremmo icasticamente l’idea di come ci siamo ridotti e del futuro che ci stiamo preparando”, scrive il grande Bragantini, seminascosto in fondo a pagina 17 de Il Corriere della Sera. Craxi e le partecipazioni statali (espandi | comprimi) - Vediamo altri meriti dello statista Craxi: ricorderete, per esempio, le partecipazioni statali, erano le imprese dello Stato, ce ne era una in particolare che si chiamava Sme e perdeva migliaia di miliardi ogni anno per produrre panettoni e pomodori pelati di Stato.
Era la grande Finanziaria alimentare dell’IRI, che conteneva nella sua pancia i marchi di Motta, Alemagna, Cirio e era gestita dai partiti, quindi era gestita con i piedi e noi, ogni anno, ripianavamo i buchi della Sme: ecco perché Prodi saggiamente, nel 1984, decide di privatizzarla, la mette sul mercato, chiede se c’è qualche privato disposto a prendersi quel carrozzone puzzolente e maleodorante. Ebbene, si fa avanti la Buitoni, unica offerente, la Buitoni di De Benedetti: Craxi per ragioni politiche, ossia perché odiava De Benedetti, decide di bloccare la privatizzazione della Sme, incaricando Berlusconi, Barilla e Ferrero di, obtorto collo, presentare una controfferta rispetto a quella della Buitoni, per altro fuori tempo massimo, in modo da mandare a monte il preaccordo che la Buitoni ha stipulato con l’IRI. Risultato: va tutto a catafascio, la Sme rimane nelle partecipazioni statali e gli italiani per anni hanno continuato a ripianare migliaia di miliardi di debiti a quell’azienda pluridecotta , che Prodi saggiamente aveva trovato a chi affidare per liberare lo Stato da quel bubbone purulento. Questo sarebbe il modernizzatore, uno che non ha mai privatizzato neanche un canile: io non sono un fanatico delle privatizzazioni, ci sono cose che debbono rimanere pubbliche, ma i panettoni di Stato e i pomodori pelati forse potevano essere privatizzati e gestiti meglio! Craxi si opposte e perché si oppose? Perché le partecipazioni statali erano delle aziende che venivano gestite dagli uomini dei partiti, la DC e il PSI e i partiti usavano le aziende pubbliche come vacche da mungere, le depredavano per rubare, venivano finanziati da aziende pubbliche anche se era vietato dalla legge che essi stessi avevano approvato nel 74: quella del finanziamento pubblico dei partiti, che consentiva ai partiti di ricevere contributi da aziende private, ma non da aziende pubbliche. E invece Craxi usava le partecipazioni statali come se fossero il cortile di casa sua: ci metteva i suoi uomini, il famoso Di Donna, i famosi Cagliari, Bitetto, Necci e poi ciucciava i soldi, questa è la ragione per cui alimentò l’impresa pubblica anche laddove non se ne sentiva il bisogno, perché rubavano i soldi pubblici dalle aziende pubbliche. Pensate alla RAI, pensate a che cosa era la RAI nel periodo della lottizzazione più feroce dei partiti: si dirà “ c’è anche adesso”, sì, ma non è una buona ragione per dire che era buono quello che facevano allora o per dire che, dato che si fa male adesso, allora va bene tutto, la RAI ha cominciato a diventare - e ne sa qualcosa Beppe Grillo, tra l’altro - una protesi dei partiti proprio in quegli anni, quando tra l’altro non c’erano più neanche grandi partiti che segnalavano grandi personalità, come era accaduto nel passato in televisione, ma c’erano partiti che segnalavano mezze calzette, le loro amanti, i loro amici, i loro portaborse etc., per ottenere in cambio quello che avete visto ancora l’altra sera da Giovanni Minoli. La stessa cosa accadde nel settore televisivo privato: se oggi non abbiamo un libero mercato nella televisione privata, se oggi non abbiamo un antitrust nella televisione privata, se oggi abbiamo una mostruosa concentrazione nelle mani del signor Berlusconi, lo dobbiamo a Bettino Craxi, che cominciò a salvarlo con i due famosi decreti dell’84, quando i pretori tentarono di fare rispettare la legge a Berlusconi e Craxi neutralizzò le ordinanze dei pretori con due decreti chiamati Berlusconi e poi, nel 1990, quando perdemmo la grande opportunità di avere una legge antitrust sulla televisione, perché la Legge Mammì alla fine diventò una fotografia del trust esistente, tre reti aveva Berlusconi e tre reti potè tenersi vita natural durante. A chi lo dobbiamo tutto questo? A Craxi, il grande modernizzatore che ha creato il più mostruoso monopolio, soltanto perché il monopolista era il suo amichetto che gli pagava 21 miliardi, o forse di più, 21 sono stati trovati, estero su estero. Ecco perché la corruzione non può essere disgiunta dall’azione politica, perché queste scelte politiche venivano fatte da uno che poi si faceva pagare: ecco perché il corrotto non è staccabile dall’attività politica, perché la corruzione richiede qualcosa in cambio e quel qualcosa in cambio erano le politiche che hanno ridotto l’Italia a un Paese pseudosovietico, per quanto riguarda la televisione, visto che abbiamo il potere politico che controlla la televisione e questo è cominciato grazie a Craxi, il berlusconismo lo dobbiamo a Bettino Craxi. La stessa cosa è accaduta nell’editoria quando, raccomandato da Craxi, Berlusconi si impossessò della Mondadori e si impossessò della Mondadori grazie a magistrati romani che facevano parte dell’harem di Cesare Previti e da dove viene Cesare Previti? Dal Partito Socialista, era Consigliere di amministrazione di Alenia, ai tempi in cui l'Alenia era un feudo socialista, tutto si tiene.. il giudice Squillante, il giudice che aveva 9 miliardi sui conti svizzeri, il giudice corrotto da Previti, anche se poi l’ha fatta franca grazie alla prescrizione, ebbene il giudice Squillante era il consigliere giuridico di Craxi a Palazzo Chigi, un giudice con i conti all’estero comunicanti con i conti di Previti e della Fininvest. Ecco perché a Roma i processi non si facevano mai e Craxi fu beccato dalla Procura di Milano: perché a Roma i giudici erano capitanati - capo dei G.I.P. - da Renato Squillante, consulente giuridico di Craxi, pappa e ciccia con Craxi, ecco perché la corruzione non può essere disgiunta dalla politica! Pensate soltanto alle politiche sulla droga che ha fatto Craxi: la prima legge proibizionista in materia di droghe è proprio la legge che fu fatta, la famosa Iervolino /Vassalli, che fu imposta da Craxi, che poi era legato ai peggiori personaggi delle comunità, da Don Gelmini a Muccioli, vengono tutti di lì, dal craxismo. La penalizzazione delle droghe anche leggere, il proibizionismo più retrivo, pensate all’imbarcata di extraparlamentari di sinistra che fece il Partito Socialista, che si importò i Boato, i Liguori, i Sofri, tutti socialisti erano diventati quando lotta continua chiuse i battenti! Pensate alla politica istituzionale di Craxi, che lanciò per primo il presidenzialismo, l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, perché naturalmente la voleva disegnare sulle proprie caratteristiche, voleva diventare Presidente della Repubblica con il plebiscito, è lui che ha cominciato a picconare la Costituzione, è lui che per primo, nel 1980, insieme a Giulano Amato, suo degno consulente su queste questioni, ha lanciato la proposta della grande riforma: che cosa era la grande riforma? Era la trasformazione dell’Italia in una Repubblica presidenziale craxiana, è lui che ha cominciato a diffondere il virus dell’ostilità ai valori costituzionali e è lui il primo politico importante del governo a attaccare in Parlamento la magistratura. Oggi ci sembra normale che i politici attacchino la magistratura, non fanno niente altro: all’epoca non si usava, i democristiani se ne guardavano bene, chi aveva fatto parte della Costituente e aveva mantenuto quella tradizione si guardava bene dal delegittimare gli altri poteri, mica per ragioni di onestà di impeccabilità, per ragioni di autoconservazione. Se un potere comincia a distruggere gli altri, gli altri distruggeranno quel potere lì, il potere non può delegittimarsi, le istituzioni tra loro non si possono delegittimare, Craxi fu il primo a rompere il galateo istituzionale e costituzionale e quando cominciò a attaccare i magistrati? Quando fu arrestato per reati valutari nei primi anni 80 Roberto Calvi, il responsabile del più grave crack della storia d’Europa prima del crack Parmalat, ovviamente, il crack dell’Ambrosiano, che mandò sul lastrico migliaia, migliaia e migliaia di famiglie e Craxi, invece di ringraziare i magistrati, che avevano beccato il bancarottiere Calvi, il quale aveva depredato le casse dell’Ambrosiano per compiacere la mafia, la P2 e tutto quel giro losco che c’era intorno, Craxi attaccò i giudici in Parlamento, dicendo che rovinavano l’economia! Cioè l’economia, che era stata appena rovinata dal più grave crack mai visto nella storia d’Italia, veniva rovinata dai giudici che avevano scoperto il crack e il colpevole del crack: questo fu un attacco violentissimo, che segnò una rottura, molti che prima votavano socialista non votarono più socialista, quando sentirono che Craxi difendeva Calvi e poi si scoprì perché Craxi difendeva Calvi, perché in Svizzera, sul conto protezione, Calvi gli aveva appoggiato, grazie ai buoni ufficio di Licio Gelli, una mazzettona di una decina di miliardi dei primi anni 80, una cifra spropositata! Ecco perché ancora una volta la corruzione non può essere disgiunta dall’attività politica: perché Craxi difende un figuro come Calvi? Perché prendeva i soldi da Calvi! La gestione interna del partito, l’insofferenza del dissenso, il partito cesarista, il partito mussoliniano nella Repubblica italiana l’ha inventato Craxi, il quale espelleva gli oppositori e reprimeva il dissenso interno: nel 1981 ha cacciato gente onesta e perbene, oltre che grossi intellettuali come Codignola, Bassanini, Enriquez Agnoletti, Leon, Veltri e altri dirigenti chiamandoli “ piccoli trafficanti della politica”: pensate, Craxi che dà del piccolo trafficante della politica a gente onesta, accusandola di intelligenza con il nemico! Non si sa chi fosse il nemico, perché li ha cacciati? Perché avevano sollevato la questione morale, la stessa questione morale che aveva sollevato Berlinguer dopo che, nelle liste della P2, erano stati trovati molti socialisti craxiani e lombardiani, nel caso di Cicchitto. Pensate ai faccendieri che si aggiravano nell’éntourage di Craxi, ora la figlia pietosamente dice “ mio padre si fidò delle persone sbagliate, che tradirono la sua fiducia”: certo, era uno sprovveduto, un ingenuo! E’ stato subornato, era circondato da un’associazione per delinquere e non se ne era accorto, l’ingenuo Craxi! Faccio dei nomi, eh: Gelli, Calvi, Tradati, Troielli, Gianlombardo, De Toma, Bitetto, Mac Di Palmestein, Cusani, Larini, Fiorini, Parretti, Cagliari, Zampini, Biffi Gentili, Mario Chiesa, Maurizio Raggio, Francesco Cardella. Fate qualche ricerchina su Internet con questi nomi e vedrete che pedigree viene fuori di ciascuno di essi! Erano tutti nell’éntourage di Craxi, ne fosse mancato uno! Uno dice “ va beh, Gesù Cristo è stato tradito da Giuda”, sì, ma uno su dodici era, qui trovarne uno su venti che non fosse un mascalzone! Senza ricordare, naturalmente, che cosa era diventata l’assemblea socialista, quest’organismo pletorico che si riuniva nei palasport e dove svettavano riccastri, pervénus da mazze, mignotte: sono i famosi ladri e ballerine di cui parlava Formica, che adesso evidentemente se ne è dimenticato, tant’è che ieri pare che abbia baciato addirittura la scrivania dove Craxi compilava le sue veline ricattatorie e mandava in fax in Italia per rovinare la reputazione di quelli che diceva che l’avevano tradito. Pensate che Craxi riuscì persino a candidare al Parlamento Gerri Scotti e Massimo Boldi: voi direte “ Massimo Boldi quello lì?”, esattamente quello lì! Questa era la nuova classe dirigente dello statista modernizzatore, Massimo Boldi, detto anche Max Cipollino, questa è la classe dirigente del grande statista anticipatore di Tony Blair, come ieri sera ci ha detto Sacconi! Per non parlare naturalmente di Giuliano Ferrara, Budget Bozzo etc., insomma non si è fatto mancare niente, tutte persone altamente equilibrate!
Craxi e la politica esterea (espandi | comprimi) - Prendiamo la politica estera: per quanto riguarda la politica estera Craxi, che viene dipinto come un fedele atlantista, uno anticomunista, uno ancorato all’occidente e quindi quello che aveva fatto la scelta giusta tra l’est e l’ovest, mentre l’Unione Sovietica voleva colpire etc., gli euromissili e tutta la retorica che si fa sugli euromissili, Craxi è quello che fa entrare nel Parlamento italiano Yasser Arafat con la pistola nel cinturone, non lo disarmano neanche, non lo perquisiscono neanche prima di farlo entrare in Parlamento e, quando qualcuno protesta, lui dice che Arafat è come Mazzini e Garibaldi, Arafat come Mazzini e Garibaldi!
Il capo di un’organizzazione che, in quel periodo, era ancora un’organizzazione terroristica, che faceva gli attentati negli aeroporti e sequestrava le navi, come poi successe qualche anno dopo con l’Achille Lauro, che non aveva ancora neanche riconosciuto il diritto all’esistenza dello Stato di Israele, questo sarebbe quello che le aveva azzeccate tutte! Quando l’Inghilterra andrò a riprendersi le isole Falkland, che i generali argentini, i dittatori fascisti militari argentini erano andati a occupare per distrarre l’opinione pubblica dalla crisi economica dell’Argentina e la Thatcher andò a riprendersi le Faulklands, indovinate un po’ con chi si schierò l’Italia, grazie al governo Craxi: con la democrazia inglese, o con i dittatori argentini? L’Italia fu l’unico Paese in Europa alleato ai generali argentini, quelli che sterminavano gli oppositori lanciandoli dagli aerei in quota, quelli che fecero i desapareçidos, noi eravamo alleati con quella gentaglia lì, grazie a Craxi che aveva visto giusto! Noi ci siamo alleati con un tiranno lurido, sanguinario come Siad Barre, il tiranno della Somalia, missioni continue dei vari Pilliteri, Boniver, Francesco Forte, che andavano a portare denaro pubblico a questo delinquente: con la scusa della cooperazione con il terzo mondo abbiamo foraggiato per anni questo tiranno sanguinario. Quando poi è stata rapita la nave Achille Lauro, adesso voi sentite raccontare che ci fu l’episodio di Sigonella, dove Craxi gliela fece vedere agli americani: per l’amor del cielo, fargliela vedere agli americani quando sbagliano è sacrosanto, ma non è quello che è successo a Sigonella; tutti dimenticano che cosa è successo a Sigonella, raccontano solo la prima parte della storia, un commando di terroristi dell’Olp, capitanato da Yasser Arafat - la frangia era uno delle organizzazioni che componevano l’Olp e era il Fronte Popolare di Abu Abbas - sequestrò questa nave nel Mediterraneo, dopodiché ci fu una trattativa con la mediazione di Mubarak, Presidente egiziano e, alla fine, i terroristi decisero di riconsegnare la nave e gli ostaggi in cambio della impunità per il loro capo, questo fu l’accordo segreto, il capo era Abu Abbas, che si era spacciato per un mediatore e poi si scoprì che era il capo della banda e che, per di più, questa banda, che aveva garantito di non aver ucciso nessuno, aveva ucciso un ebreo paralitico, Lion Klingoffer, che se ne stava in carrozzella e che fu preso, assassinato e buttato giù dalla nave, tant’è che sulla chiglia dell’Achille Lauro c’era una bava di sangue, era il sangue di questo anziano ebreo che era stato ucciso in quanto ebreo e in quanto americano. Una cosa oscena che, quando la si scoprì, doveva evidentemente imporre al governo italiano di prendere l’intero commando, da Abu Abbas a tutti gli esecutori materiali, e assicurarlo alla giustizia italiana, perché quel delitto era avvenuto su una nave italiana e quindi le navi italiane sono territorio italiano anche quando navigano in acque internazionali. Reagan, con una cow boyata, come la chiamò Montanelli, tentò di prelevare il commando nella base americana di Sigonella, in territorio italiano e di portare i terroristi per processarli in America, perché avevano ammazzato un americano. Giustamente Craxi disse “ no, li processiamo noi”: fin lì va bene, il problema è quello che succede dopo, ossia il gioco delle trae carte, per cui una volta assicurato agli americani che i terroristi li processavamo noi, Abu Abbas è stato preso, caricato su un aereo dei servizi segreti italiani, mandato a Belgrado dal maresciallo Tito e da Belgrado è stato regalato in omaggio al regime di Saddam Hussein, che ha ospitato Abu Abbas a Baghdad fino al giorno in cui c’è stata la guerra nel 2003, quando Abu Abbas è stato trovato morto, non si è ben capito in quali circostanze. Questo abbiamo fatto: abbiamo fatto scappare il capo dei terroristi che avevano assassinato un ebreo paralitico inerme, altro che il gesto coraggioso di Sigonella! Abbiamo fatto scappare un terrorista e l’abbiamo restituito al suo legittimo proprietario, che era Saddam Hussein e tutti quelli che oggi celebrano Craxi sono quelli che hanno voluto che l’Italia partecipasse alla guerra in Iraq e sono tutti quelli che dicono di essere contrari al terrorismo, però difendono un signore che appoggiava e salvava i terroristi assassini! Pensate alla gestione del caso Moro: nel caso Moro fu presa una linea sacrosanta da parte delle autorità italiane, ossia non trattare con le brigate rosse, perché se tratti una volta i brigatisti sapranno che, ogni volta che faranno un ostaggio, lo Stato si calerà le brache e quindi non c’è più Stato, se lo Stato tratta con i brigatisti e infatti la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista decisero che non bisognava trattare, grazie al governo Andreotti e all’oppositore.. anzi, scusate, in quel momento era il governo sostenuto dalle astensioni del Partito Comunista e quindi, grazie all’astenuto PC di Berlinguer, la linea di Zaccagnini, segretario della DC, e di Berlinguer, segretario del PC , nonché di Ugo Lamalfa. Sapete chi è l’unico segretario dei partiti di maggioranza che invece voleva trattare con le brigate rosse? Era Craxi e oggi, tutti quelli che dicono “ non si tratta con i terroristi” etc. etc., celebrano un signore che rivendicava la trattativa con le brigate rosse, cioè liberare dei terroristi in cambio della vita di Moro! Una cosa che avrebbe messo definitivamente in ginocchio lo Stato italiano e avrebbe segnato la vittoria politica delle brigate rosse. Concludo con quello che faceva Craxi nei confronti della stampa libera e degli intellettuali: diciamo che è stato il politico - prima che arrivassero Berlusconi e anche D’Alema, in un certo qual modo - più feroce nei confronti della stampa libera e più insofferente nei confronti delle critiche: “intellettuale dei miei stivali” disse, quando Galli Della Loggia si permise una critica e, quando Alberto Cavallari, direttore de Il Corriere della Sera, scrisse che lui tra i ladri e le guardie stava dalla parte delle guardie - Cavallari era il direttore de Il Corriere della Sera che aveva bonificato il corriere dopo la P2 - Craxi lo denunciò, una cosa che fece epoca, perché all’epoca non si usava intimidire i giornalisti con continue denunce come si fa adesso, lo denunciò e lo fece condannare a un risarcimento di 500 milioni. Dopodiché purtroppo Cavallari non ebbe la possibilità di essere riabilitato, cioè di vedere le prove di ciò che lui aveva scritto su Il Corriere della Sera a metà degli anni 80, perché un giorno arrivò il momento in cui si scoprì che veramente Craxi era un ladro, soltanto che lui nel frattempo aveva dovuto pagare il risarcimento, era stato condannato e era morto. Ecco perché oggi forse bisognerebbe dedicare una via di Milano a Cavallari e non a Craxi, perché è stato un grande giornalista che aveva visto giusto, come tanti altri avevano visto giusto su Craxi, prima che arrivassero le prove nelle mani della magistratura. Passate parola e continuate a seguire Il Fatto Quotidiano, che questa settimana lancerà probabilmente una specie di referendum tra i lettori per scegliere, invece, gli esempi positivi: li prenderemo sicuramente tra quelli che avete visto nel calendario dei santi laici, che è stato distribuito anche quest’anno insieme con il blog di Beppe Grillo. Passate parola, buona settimana.Precisazione di Marco Travaglio - "Grazie ad alcuni amici del blog, mi sono accorto di aver detto una sciocchezza: Abu Abbas, mandante del commando che sequestrò l'Achille Lauro e assassinò Leon Klinghoffer, fu spedito da Craxi a belgrado, e di lì all'Irak di Saddam Hussein, ma a Belgrado non c'era più il maresciallo Tito, morto da tempo. Me ne scuso con tutti."

Marco Travaglio (Passaparola del 18 gennaio 2010)

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Un'immagine, un racconto (libro fotografico on line)

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La fotografia è in genere un documento, la testimonianza di un ricordo che raffigura spesso persone e luoghi, ma talvolta può anche costituire lo spunto per fantasticare un viaggio ovvero per inventare un racconto e leggere con la fantasia l’apparenza visiva. (cliccando sopra la foto è possibile visionare il volume)

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